Cercherò di essere il più obiettivo possibile, perché non ci
tengo a passare per razzista, e mi limiterò a raccontare cosa mi è
successo ieri sera, arrivando però alla conclusione, spero corretta,
che non ci può essere alcuna forma di integrazione fra etnie
differenti.
Il primo antefatto. Gana è una grassa donna del Senegal, sposata
a un omone alto due metri, anche lui originario dello stesso paese.
Vivono in una casa popolare di Sedegliano e hanno un numero
imprecisato di marmocchi, quelli che gli hanno permesso di scavalcare
la graduatoria delle altre persone in lista d’attesa per le case
ATER. La signora Gana si è avvalsa dei miei servigi in qualità di
autista già diverse volte. La portavo dalla stazione di Codroipo a
casa o, viceversa, l’andavo a prendere a Sedegliano, che dista poco
più di 5 Km, per portarla in stazione. Di mestiere vende bigiotteria
comprata dai cinesi. Suo marito fa il buttafuori in una discoteca.
Almeno, questo è ciò che sapevo fino a ieri sera quando sono andato
a prenderlo in stazione, previa telefonata della moglie, che mi
avvisava del suo arrivo.
La prima avvisaglia l’ebbi quando una sua compatriota, che mi
era stata presentata come sua sorella, mi doveva 5 euro e la volta
successiva in cui Gana chiese i miei servigi, ne approfittai per
domandarle se poteva saldare il debito. Mi rispose che lei rispondeva
solo per se stessa e che Nay rispondeva per sé. “Ma è tua
sorella”, replicai. Allora mi spiegò che loro si chiamano sempre
sorelle, ma è già tanto se vengono dallo stesso villaggio, se non
dalla stessa nazione. E dunque, in Senegal, secondo il modo di dire
di Gana, ci sono 14 milioni di fratelli e sorelle. Vabbé!
Il secondo antefatto. Una sera c’era mia figlia ospite da me, a
Codroipo, poiché abitualmente vive a Trieste. Mi chiama Gana e mi
chiede di andarla a prendere in stazione per portarla a casa. Era
buio e Gana sapeva, come le avevo detto fin dal principio, che di
notte applico una tariffa superiore, in quel caso di 10 euro.
Smontata dalla macchina davanti a casa sua, Gana mi allunga 5 euro e
mi dice: “Scusa sai, ma non ho venduto niente. Oggi ti posso dare
solo 5 euro”. Non volendo fare storie in presenza di mia figlia, che era rimasta
seduta davanti, dissi a Gana che per quella volta andava così, ma
che la cosa non doveva diventare un’abitudine. Mi accorsi, mentre
lo dicevo, che non capiva il senso di quella frase. Poiché ero di
buon umore, forse a causa della presenza della figlia, evento
abbastanza raro, salii in macchina e diedi la banconota alla
fanciulla, sangue del mio sangue. La domanda che a questo punto un
provetto autista dovrebbe porsi è: “E’ mai possibile che i
clienti stabiliscano da se stessi la cifra da pagare?”. Oggi la
scusa è che non ha lavorato abbastanza; domani sarà che non ce la
fa ad arrivare a fine mese; dopo domani sarà che ha speso molti
soldi per le cure mediche dei suoi bambini. E io? Devo lavorare sotto
costo? Sto facendo volontariato, per caso?
Il terzo antefatto. Vado a prenderla di mattina, pochi giorni fa
e, come di consueto, la porto in stazione. Una volta fermi, stando
ancora seduta dietro, mi allunga i soliti 5 euro. Le dico: “Guarda
che me ne devi ancora cinque”.
“Ma come, non hai detto che di notte sono 10 e di giorno 5?”
“Forse te l’avrò detto mesi fa e quello è il prezzo vecchio.
Ora applico 10 per Sedegliano, anche di giorno, e dovrei chiederti
15, di notte, ma ti ho sempre fatto uno sconto”.
Scende. Faccio il giro della macchina e senza arrabbiarmi le dico
che non sono per niente soddisfatto. Richiudo la portiera e me ne
torno a casa. Lei si avvia verso il binario a prendere il treno. Già ho dovuto
combattere con due coppie di Sinti che mi facevano dannare l’anima
con i pagamenti, una discussione dietro l’altra, tanto che, se è
vera la teoria psicosomatica delle malattie, è anche per quello che mi sono ammalato. Ora devo combattere pure con i senegalesi e sempre
per la loro ritrosia a pagarmi il dovuto. So di essere onesto e tendo
spesso a fare degli sconti, ma è come se fossero invisibili. Gli
sconti che applico non vengono percepiti e siccome l’abitudine che
hanno in patria è quella del mercanteggiamento, a cominciare dai
marocchini che sono abilissimi in questo, ne deriva che Gana e gli
altri ragazzi del Senegal che vivono a Sedegliano m’impegnano ogni
volta in snervanti trattative su somme risibili. Siccome sto cercando di salvaguardare la mia salute, sia con
medicine di farmacia sia con quelle di erboristeria, e non ho bisogno
di un lavoro stressante, non vorrei avere una ricaduta, ma dopo lo
scherzetto dell’altra mattina, ho rimuginato a lungo sulle parole
da dire a Gana per darle il benservito, cioè per farle capire che
non mi deve più telefonare. Come è successo ieri sera.
E allora veniamo a ieri sera. Gana mi chiama e mi dice: “Puoi
andare a prendere mio marito che arriva in stazione fra venti
minuti?”.
“Va bene”.
Mentre aspettavo che arrivasse il treno, mi chiedevo quali frasi usare per
dirgli che sua moglie mi doveva 5 euro e che quindi gli avrei chiesto
10 euro per la corsa, più i 5 del debito di Gana. Arriva e subito
incontra un bianco suo conoscente, che gli chiede dove abita e si
offre di portarlo a casa (poi nessuno dica che i bianchi sono
razzisti!). Ma l’omone, vedendo me in piedi vicino alla mia
macchina con le portiere spalancate, gli risponde che aveva già
chiamato il taxi e che doveva venire con me. Infatti, si accomoda ed
è allora che gli dico:
“Tua moglie mi deve 5 euro”.
“Chiediglieli a lei. Io non li ho!”.
“Ma, fra poco salgo in casa tua e me li date, se volete ancora i
miei servigi”.
“E chi ti dice che mia moglie è a casa. E’ in treno, in
questo momento”, aggiunge l’omone.
“Ma scusa, è tua moglie”, insisto io.
Ma lui, niente! E allora, rivoltomi a quel suo conoscente bianco
che si era offerto di portarlo a casa, dico: “Se lo porti via!
Questi vogliono farmi lavorare gratis. Basta prendermi in giro!”.
E, rivolto all’omone: “Dì a Gana che non mi telefoni più!”.
“Apri il bagagliaio”, è stata la sua risposta. Ha preso i
suoi bagagli e si è avviato verso il gentile bianco che gli aveva
promesso un passaggio. Io me ne sono tornato a casa, dopo aver fatto
un’uscita a vuoto. Fra pochi giorni prenderà l’aereo per tornare
in Senegal per un breve periodo – lo so perché era stata Gana a
dirmelo – e non ha 5 euro per saldare un debito di sua moglie. Non
so se fa il buttafuori o se vende collanine anche lui, di fatto mi
sono limitato ad alzare la voce, protestando per l’ingiustizia che
mi veniva fatta, ma soprattutto per la mancanza di rispetto nei miei
confronti. Non sto facendo volontariato, non mi piace essere preso in
giro e loro devono smettere di considerare i bianchi come polli da
spennare. Mi basta aver sposato una malgascia che, quando io sono in
Madagascar, si comporta nello stesso identico modo.
I Sinti dopo avermi minacciato e insultato, non si sono più fatti
sentire. Grazie a Dio. I senegalesi spero facciano la stessa cosa,
cioè mi lascino in pace e si arrangino a fare quei 5 Km tra
Sedegliano e Codroipo. Si rivolgano a qualche altro autista (mi
risulta che a Codroipo ce ne siano altri due), sempre che anch’essi
non si rifiutino di soddisfare le loro richieste. Oppure, provino a
chiamare un radiotaxi per rendersi conto delle cifre che i tassisti
chiedono normalmente. Una volta resisi conto delle cifre reali,
rimpiangeranno forse quelle irrisorie che gli chiedevo io.
Morale della favola. In Italia, tra italiani e africani, benché
residenti da anni e capaci di parlare la nostra lingua, non ci può
essere un rapporto paritario, come non c’è mai stato nel mio
matrimonio malgascio, a meno che il bianco non elargisca benefit ai
negretti ospiti, come fa la Caritas, le cooperative rosse e il famoso
prete Biancalani. Finché il bianco paga, va tutto bene, ma se il
bianco vuole essere pagato, per la prestazione di un servizio come
nel mio caso, allora scattano le strategie per parassitarlo e
sfruttarlo con relative lacrimevoli manipolazioni. Idem con Sinti e
Rom. Benché di pelle bianca e caucasici come noi, basta la parlata
diversa, l’origine balcanica e la vecchia ruggine assopita fra le
due etnie per portare alla fine al disastro. D’ora in poi, se
qualche nuovo cliente dovesse chiamarmi, mi accerterò della sua
etnia di appartenenza e, a costo di apparire razzista (ma in realtà
è solo legittima difesa) dirò, con tatto e il meno rudemente
possibile: “Non trasporto Negri né Zingari. E nemmeno asiatici
senza documenti.
Brutto da dire ma è la sacrosanta verità! Sta gentaglia crede che tutto sia loro dovuto. In Italia hanno trovato la cuccagna. Gente che si straccia le vesti per loro e insensibili ai problemi dei propri connazionali!
RispondiEliminaCredo che ciò dipenda dalle Missioni, sia cattoliche che protestanti.
EliminaMassimo rispetto per i missionari, tanto che anch'io ho meditato spesso di fare il missionario laico, ma in un certo senso è come se li avessimo viziati.
Si è creato il cliché - una specie di circolo vizioso - che deve essere il bianco ad aiutare il nero. E lo stesso schema mentale se lo sono portati dietro migrando nei nostri lidi.
Quando poi incontrano un bianco che vuole essere pagato per un servizio prestato, le cose nella loro testa vanno in corto circuito e il bianco, che vorrebbe trattarli come tratta tutti gli altri clienti, viene accusato di essere razzista.
Davvero un bel pasticcio, sul piano psicologico e comportamentale.