Testo
di Maurizio Panconesi
Sono
ormai pochi forse a ricordare la simpatica e triste storia di Lampo, cane
viaggiatore della Stazione di Campiglia Marittima… una storia bella e patetica
al tempo stesso, in cui una volta di più gli animali (ma, forse, chiamarli così
può sembrare troppo riduttivo!) dimostrano di avere molto da insegnarci.
In
un’epoca come la nostra, in cui le Ferrovie sono solo un lontano ricordo di ciò
che furono nel passato ed in cui l’amore e la poesia paiono termini arcaici ed
ormai dimenticati, una storia come questa, che ci riporta indietro ai “magici”
anni ‘50, credo che faccia bene un po’ a tutti, riscoprendo quei sentimenti di
fedeltà ed attaccamento che non scompariranno mai, specie da parte dei nostri
piccoli amici a quattro zampe.
La
vicenda di Lampo pare quasi una favola d’altri tempi, ed in effetti di anni ne
sono trascorsi ormai sessanta da quell’assolato giorno dell’agosto 1953, quando
un piccolo bastardino pezzato, senza famiglia né dimora, discese alla
chetichella da un vagone merci di un treno di passaggio dalla stazione di
Campiglia Marittima: comparve come un “lampo” in quel piccolo impianto, e come
un lampo portò un repentino cambiamento nella vita dei pochi ferrovieri di
quella stazione, in particolare del capostazione, Elvio Barlettani, la cui
figlia Virna, innamoratasi subito di quel piccolo cane, pregò suo padre
affinché chiudesse un occhio, almeno per quella prima notte.
“Per
non più di una notte, e poi domani ...”, aveva detto alla figlioletta - seppur
senza troppa convinzione - Elvio; ma il piccolo cagnolino, al mattino
dopo, era ancora lì, arrotolato davanti alla porta del suo ufficio, in attesa
di una carezza, e non appena Elvio aprì la porta, gli balzò addosso, leccandolo
e scodinzolando ... ed il capostazione, da quel giorno, non se la sentì più di
mantenere quel suo iniziale proposito di scacciarlo ... e per mandarlo dove?
Da
allora, per tutto l’arco della giornata, “Lampo” come l’aveva battezzato per
l’improvviso ingresso nella sua vita ed in quella dei suoi colleghi di
Campiglia, divenne un compagno fedele di quel padrone di elezione, seguendolo
in ogni mansione che questi avesse dovuto compiere nell’ambito del suo servizio
di ferroviere.
E
così, quell’omone robusto e quel suo piccolo cane, divennero da quel giorno
amici inseparabili anche se, ogni tanto, desiderando vedere il mondo, Lampo
spariva per qualche giorno, salendo su un accelerato di passaggio, ma
ritornando sempre alla sua stazione, dal suo amico capostazione, che sapeva
essere lì, ad aspettarlo!
Sì,
perché Lampo vivendo in mezzo ai treni, aveva imparato a conoscerne gli orari,
sapendo anche distinguere i vari tipi di carrozze, soprattutto quelle
ristorante, delle quali divenne un assiduo frequentatore, percorrendole su e
giù in lunghezza lungo il marciapiede ogni qual volta si fermavano … in attesa
di qualche “omaggio”!
I
ferrovieri ormai lo conoscevano, ed anche il personale viaggiante chiudeva un
occhio nel
vedere quel piccolo cane pezzato, che non faceva male a nessuno, accoccolato durante i suoi frequenti “viaggi” nel vestibolo di una vettura.
vedere quel piccolo cane pezzato, che non faceva male a nessuno, accoccolato durante i suoi frequenti “viaggi” nel vestibolo di una vettura.
Incredibilmente,
Lampo conosceva a memoria orari e tipi di treni, coincidenze e fermate, avendo
fatto pratica nell’accompagnare tutti i giorni a scuola la piccola Virna: in
quei primi anni infatti, saliva anche lui sul treno da Campiglia a Piombino per
scortarla alla locale scuola elementare, e poi “Lampo tornava a Campiglia,
sempre col treno, e andava in ufficio da mio padre; a fine mattinata,
riprendeva di nuovo il treno per venire a riprendermi all’uscita da scuola e
riaccompagnarmi a casa!”.
Ma
non sempre il suo simpatico passare da un treno all’altro (senza pagare il
biglietto) fu apprezzato: la Direzione del Compartimento ferroviario di Firenze
infatti, alcuni anni dopo, impose al povero Barlettani di separarsi dal suo
amato cagnolino, allontanandolo definitivamente dalla stazione: a malincuore,
il ferroviere prese la dolorosa decisione di affidarlo ad un amico calabrese,
suo conoscente.
Lampo
era anche chiamato il cane dei ferrovieri per la simpatia che sapeva riscuotere
da tutti loro.
Ma,
incredibilmente …”Un mese più tardi lo vedemmo ritornare. Era magro, aveva
perso anche il pelo. Di fronte a questo, anche le FS cedettero e Lampo divenne
una mascotte famosa e stabile
della nostra stazione”. La fama di quel piccolo cane travalicò i confini della
piccola stazione, fino a far sì che la stessa RAI arrivasse con un troupe
televisiva a Campiglia per girare su di lui un breve servizio, ritraendolo
davanti alla vettura ristorante (… un caso?) del Torino – Roma!
Un
settimanale americano giunse perfino a dedicargli la sua copertina: fu così che
arrivò per lui, per via aerea da Buffalo/Usa, una grossa scatola di biscotti da
un suo ignoto ammiratore d’oltreoceano!
Ma
il destino aveva tuttavia stabilito che questa bella favola dovesse un giorno
avere fine: durante una manovra nella stazione, Lampo nell’attraversare i
binari per raggiungere l’ufficio del suo amico, venne investito da un treno!
Era
la calda sera del 22 luglio 1961, una sera simile a quella che aveva visto
discendere otto anni prima da un merci un cucciolo pezzato senza nome: il
capomanovra di Campiglia, con le lacrime al volto, comunicò a Barlettani che
Lampo non c’era più!
Lo
seppellirono ai piedi di un’acacia della sua stazioncina, in un giardinetto
tranquillo, proprio là dove era solito attendere il suo padrone durante le
lunghe ore del pomeriggio.
Ciò
che forse uccise Lampo fu la sua tanta voglia di viaggiare, di scoprire quel
“Mondo Grande” di quegli uomini che tanto amava e nel quale si era talmente
immedesimato da dimenticare le sue origini di modesto bastardino senza casa.
A
Campiglia, a parlare di lui, ora che anche il suo Grande amico se n’è andato
per sempre, non resta che un piccolo monumento che lo ritrae, con la zampetta
sollevata, come era solito fare per salutare il suo padrone.
Addio
Lampo ... forse, un giorno, ci ritroveremo!
Maurizio
Panconesi
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