Così s’intitolava un’intervista a Giorgio Celli, noto
entomologo bolognese e divulgatore scientifico televisivo, amante dei gatti, ma
l’espressione può essere estesa anche a tutte le gattare, o gattofile che dir
si voglia.
Spesso, come provocazione retorica, diciamo agli onnivori
che se proprio gli scappa di mangiare carne di macellare gli animali con le
proprie mani, e portiamo come prova della nostra non idoneità al consumo di
carne l’assenza di zanne e di intestino corto.
Eppure, che l’Homo sapiens abbia una parte di ferinità è altrettanto
vero e ciò che è successo in Brasile ne è la testimonianza.
Vedere un uomo che mette in pratica il nostro invito
retorico e uccide a morsi un gatto, così, tanto per passare il tempo, ci
fa capire non solo che abbiamo a che fare con uno psicopatico, ma che l’essere
umano ha tutte le potenzialità per tornare al cannibalismo com’era nei tempi
andati.
Probabilmente, in una situazione di “day after”, quello psicopatico brasiliano
riuscirebbe a sopravvivere meglio di chiunque altro, vista la disinvoltura con
cui riesce ad addentare un mammifero, vivente, a sangue caldo. Mi ricorda
quegli scimpanzè che in un famoso documentario diedero la caccia a piccole
scimmie, riuscendo a catturarne alcune e a sbranarle sul posto, in cima agli
alberi della foresta. Il documentarista voleva sfatare il mito del primate
nostro cugino come di scimmia vegetariana e pacifica. Chissà cosa voleva
dimostrare quel signore che, forse con un telefonino, ha filmato il “pazzo” che
sbranava il gatto?
In quel caso, con uno spettatore che invece d’intervenire a
salvare l’animale si limita a riprendere la scena, non è scattato il meccanismo
dell’induzione a delinquere in qualità di attori in un’improvvisata recita -
come avviene spesso nei teatri di guerra in presenza dei fotoreporter - dal
momento che il “pazzo” non si era neanche accorto d’essere filmato e lo avrebbe
fatto indipendentemente dai presenti.
I quali non si sono premurati di togliere dalle mani del
minorato mentale quel gatto che avrebbe potuto subire danni, come poi è
regolarmente avvenuto. Trattandosi di una piccola comunità forestale, presumo
che il pazzoide era ben conosciuto per le sue intemperanze, eppure nessuno si è
premurato di togliergli di mano il gatto, ma se si fosse trattato di un bambino
le cose sarebbero andate diversamente.
La scena dunque va contestualizzata e stiamo parlando di una
società rurale in cui gli animali vengono abitualmente macellati sulla pubblica
via, nessuno si scompone per le loro urla di dolore e i cugini selvatici di
quelle persone, gli indios che vivono nella selva, mangiano anche i ragni
giganti, oltre a uccidere scimmie e tapiri con la cerbottana.
Quando vedo scene di guerriglia tra indios, che si oppongono
allo sfratto impostogli dalle autorità brasiliane, e soldati, ovviamente sto
dalla parte dei primi, ma se penso che tutti loro, per cultura e tradizione,
hanno comportamenti crudeli verso gli animali, mi viene da considerare che
essere allontanati dalla foresta è solo ciò che si meritano. Una specie di
Nemesi.
O karma se si preferisce.
Ma tornando al divoratore di gatti (che poi non l’ha neanche
mangiato), vanno dette anche altre cose. La barbarie che si palesa con quel
preciso comportamento passa attraverso il non uso di utensili. La nostra idea
di civiltà c’impone di macellare gli animali con strumenti da punta e da
taglio. Da qui la proposta retorica degli animalisti fatta ai carnivoristi. Il
pazzo brasiliano usa i suoi denti, mentre tutti i macellatori del mondo usano
coltelli affilati, protesi dei denti stessi e degli artigli che non abbiamo.
A una coscienza desta anche la “normale” macellazione
provoca ribrezzo, mentre per le persone “normali” diventa accettabile. Qui, nel
caso brasiliano, c’è un sovrapporsi di sdegni. Allo sdegno di uccidere un
animale che per milioni di persone è un pet, un compagno di giochi e di vita, si
aggiunge l’inutilità del gesto, lo spreco di proteine abbandonato come un
rifiuto e sputato via, insieme alla modalità di esecuzione.
Siccome l’idea che non si debba far soffrire le bestie è
stata propugnata anche dai padri della Chiesa, come sant’Agostino, e ha fatto
presa nella religione cattolica che bene o male è stata insegnata anche in
Brasile, l’uccisione odontoiatrica di quel gatto suona stonata anche agli astanti.
Tanto è vero che il tizio con il cellulare - o la videocamera - ha filmato la
scena, considerandola interessante.
Se in Cina, in certe località, i gatti vengono mangiati, si
capisce che c’è una ragione di tipo
opportunistico, esattamente come avveniva a
Vicenza, sempre che non si tratti di una leggenda metropolitana ingigantita per
ragioni campanilistiche interne alla cultura veneta. Ma quando veniamo a sapere
che certe squadre di calcio, in ritiro in qualche pizzeria con dirigenti e
sostenitori, offrono agli incauti presi di mira, per farsi quattro risate,
gatto spacciato per coniglio, solo per vedere poi la faccia del consumatore che
viene avvisato dell’inganno, percepiamo la stessa inutilità, la stessa mancanza
di rispetto, la stessa disattenzione per il principio cattolico del non far
soffrire le bestie e non sprecare il cibo.
In Cina il commercio e il consumo di carne di gatto è
palese, anche se probabilmente illegale, a Vicenza e altrove nel Nord-Est - se
quanto mi è stato riferito è vero - lo si fa di nascosto, ché tanto
un’incursione dei NAS mentre si è al ristorante è poco probabile che si
verifichi.
In Brasile è capitato, spero, un caso singolo, con un
pazzo in circolazione che magari la prossima volta ucciderà un bambino – e la
cosa rientrerebbe nel discorso della Nemesi.
In altre parti del mondo si prendono i gatti, come in
Bulgaria si prendono i cani, e li si usa per giochi pubblici, con tanto di
presenza infantile, per rimarcare la superiorità dell’uomo sulle bestie. In
questo, la dottrina della Chiesa cattolica è insuperabile e, ragionando a mente
fredda, è arduo supporre che i nostri missionari sparpagliatisi in giro per il
mondo possano aver insegnato ai barbari indigeni qualcosa di diverso
dall’antropocentrismo. Forse qualcosa sarà potuto venire dai missionari
protestanti, che a differenza di quelli cattolici hanno una sensibilità diversa
e migliore verso le altre creature.
Di fatto, missionari o non missionari, internet ci mette al
corrente di situazioni incresciose in cui ai gatti, e a tutti gli altri
animali, viene fatta ogni sorta di cattiveria, ogni genere di atto sadico, che,
nel contesto in cui avviene, non è neanche percepito come tale.
Se prendiamo il caso di alcune nazioni africane, dove la
stregoneria animista è ancora in auge, troviamo che a volte vengono accusate
d’essere streghe perfino delle scimmiette, e arse vive com’è successo in
Sudafrica. In altri posti è ancora la volta dei gatti, che con la stregoneria
hanno evidentemente un rapporto millenario, di esser crocifissi e sventrati per
puro diletto. O per proteggere la comunità dagli influssi maligni del felino,
ché è la stessa cosa. A qualcosa, il crocifisso almeno è servito: a fornire ai
sadici primitivi uno strumento di tortura in più, da aggiungersi a quelli che
avevano già.
Che dire ancora dei poveri mici? Che la loro vita non è
facile, come non lo è quella dei cani.
Che in certi posti vengono impiccati, bruciati vivi o sottoposti a mille altre torture, basti pensare agli studi di
neurologia in molti laboratori dell’Occidente.
Con il gatto è così, almeno qui da noi: o lo si ama alla
follia, o lo si odia. E infatti ci sono tra gli animalisti quelle che si
potrebbero scherzosamente chiamare “scuole di pensiero”: canari Vs gattari.
Io appartengo alla prima categoria, ma ricordo che quando
abitavo nella baita in montagna mi faceva piacere se Mitch veniva a sistemarsi sullo stomaco con me
disteso sul divano, mentre guardavo la tivù la sera. Le sue fusa avevano un
effetto calmante e terapeutico. Gli accarezzavo la “emme” che aveva sulla
testa, dato che anche lui faceva parte di quel gruppo di felini che vengono,
per tale ragione, chiamati “i gatti della Madonna”.
Diceria popolare.
Mitch non c’è più, da anni ormai, avvelenato da vicini crudeli che,
anche se si va a vivere in una baita in mezzo ai boschi, non mancano mai.
Come una maledizione.
molto carino, grazie Roby
RispondiEliminaVittorio
Grazie a te, Vittorio.
EliminaSpero però che tu non ti riferisca al contenuto.
Ciao