Fonte: Repubblica
PECHINO -
Ossa di tigre, bile di orso, pelle di manta gigante, corna di cervo e
di rinoceronte: Pechino cancella dal menù animali in via di
estinzione e piante rare, ma alla soddisfazione di chi ama la natura
si oppone l'allarme di case farmaceutiche, medici e ricercatori che
praticano la medicina tradizionale cinese. È uno scontro che
imbarazza le autorità comuniste, impegnate a recuperare la
millenaria identità nazionale, e che costringe i cinesi ad una
scelta difficile, tra la tutela di animali e vegetali a rischio, e la
fedeltà a pratiche mediche che sono alla base della cultura
dell'Asia.
A far esplodere la "guerra dei maghi", come è stata definita dalla tivù di Stato, la decisione del governo di rendere ancora più stringenti le regole del 1988, che già vietavano di vendere e di consumare fauna e flora protetti dai trattati internazionali. Una lunga serie di scappatoie legali hanno in realtà permesso fino ad oggi di alimentare un mercato immenso di animali e di vegetali ad un passo dall'estinzione, trasformando la Cina nel nemico numero uno della tutela ambientale. L'ultima riunione del parlamento di Pechino aveva cercato di aprire nuovi varchi ad un business che vale decine di miliardi di euro all'anno. Il comitato permanente del partito, scosso dalle proteste interne e straniere, ha scelto invece di vietare sia il commercio della cacciagione che quello delle erbe selvatiche, anche sotto forma di farmaci e integratori alimentari. Di qui la rivolta di industrie, medici ed erboristi: se il bando sarà fatto rispettare, a scomparire dopo millenni sarà proprio la medicina tradizionale cinese, premiata con l'ultimo Nobel.
Secondo l'associazione
cinese che rappresenta il settore, il nuovo divieto renderà
impossibile la preparazione di oltre il 90% dei rimedi tradizionali,
che per almeno 800 milioni di cinesi residenti nelle campagne
costituiscono l'unica opportunità di curarsi. Il braccio di ferro
riguarda in particolare gli estratti di tigre, orso, pangolino,
tartaruga e rinoceronte, ma pure una decine di erbe che crescono solo
in Himalaya. Pechino cerca ora una mediazione, convincendo
industriali, scienziati e commercianti ad usare sostanze estratte da
animali d'allevamento e piante coltivate. A rafforzare le proteste
sono però gli stessi pazienti, che denunciano come i prezzi dei
farmaci tradizionali rischino di schizzare alle stelle, arricchendo
trafficanti e contrabbando.
Il presidente Xi Jinping, preoccupato dall'immagine globale della Cina, non farà concessioni e
ha invitato i cinesi a "curarsi senza più distruggere la
natura" e a "guardare con maggiore attenzione i progressi
della chimica". Addio dunque alle pozioni da alchimisti e non
solo per ragioni di opportunità politica. Tradito il tè per il
caffè, la leadership rossa sa che i cinesi in realtà hanno già
consumato lo storico strappo: da anni sono in fuga dalla medicina
tradizionale, diretti in massa verso i farmaci chimici importati
dall'Occidente. A rivelare la crisi
dei rimedi naturali, l'ultimo rapporto della Borsa che a Pechino
quota erbe e animali usati per le pozioni. Nel 2015 i prezzi sono
crollati, assieme a consumo ed esportazioni. Secondo la Camera di
commercio nazionale, anche nei primi tre mesi del 2016 l'export di
medicine tradizionali è precipitato del 11,9%, dopo il meno 13%
segnato nel 2014. La domanda interna segna addirittura un meno 17%
rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso.
Un ingrediente popolare come il ginseng, nel 2013 veniva venduto a 145 dollari il chilo: in questi giorni, nonostante l'allarme sul futuro del settore, fatica a trovare clienti disposti a pagarne 40. I fiori di crisantemo, usati per le tisane, sono scesi da 10 a 2 euro chilo, perdendo l'80% del valore. Secondo il più importante sito cinese specializzato in medicina naturale, nel paniere dei 200 prodotti più diffusi, negli ultimi sei mesi 11 hanno dimezzato il prezzo, 183 sono calati di meno del 10% e solo 6 sono rimasti stabili, o sono aumentati.
Due anni fa il settore, solo in Cina, fatturava annualmente 12 miliardi di euro, che salivano a quasi 60 considerando
il resto dell'Asia. Nel 2016, dopo lo stop al commercio delle specie
protette, il giro d'affari minaccia di scendere del 70%. Tutela della natura e
presentabilità politica, ma anche rigore della scienza. "Prima
di tutto dobbiamo convincere la popolazione - ha detto Zhang Xiaohai,
della Ta Foundation - che i rimedi tradizionali non sono efficaci
contro le malattie acute, o contro quelle che possono diventare
incurabili. Il alcuni casi rappresentano al massimo una prevenzione
da patologie croniche legate all'invecchiamento". Secondo le
autorità cinesi gli stessi princìpi attivi estratti da animali a
rischio e piante rare, sono presenti anche in altri organismi
viventi. Di qui lo stop a quella che il Quotidiano
del Popolo ha definito
"anacronistica strage senza più senso": e contro il
dolore, anche per il 92% dei cinesi, compressa occidentale batte già
tisana asiatica dieci a zero.
[N.d.R. Articolo segnalato da Francesco Spizzirri]
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