lunedì 23 luglio 2018

Profughi somali che si portano dietro le loro tradizioni


Fonte: Fan Page

Deeqa Dahir Nuur, una bimba somala di 10 anni, è morta venerdì in un ospedale a seguito di un’emorragia provocata dall'ablazione del clitoride, la mutilazione genitale femminile ancora profondamente radicata nel Paese africano. Alcuni giorni prima, la madre aveva condotto Deeqa da una donna del suo villaggio per essere sottoposta all'operazione che – come accade in molti casi del genere – viene praticata senza nessun tipo di anestetico e con scarse misure igienico-sanitarie. “Si sospetta che la donna che ha eseguito l'ablazione abbia reciso una vena importante”, ha affermato Hawa Aden Mohamed, direttrice del Centro di educazione per la pace e lo sviluppo di Gallacaio, un gruppo per la difesa dei diritti delle donne nella Somalia centrosettentrionale. “La donna che ha praticato la mutilazione genitale – ha proseguito Mohamed– non è stata arrestata, ma anche se lo fosse, non ci sono leggi per punirla per questo atto. Quello che è successo a Deeqa è uno dei tanti casi che accadono ogni giorno in Somalia”. La morte della bambina è la prima vittima confermata in diversi anni nel Paese ma, secondo gli attivisti che si battono contro questa crudele pratica, le complicazioni dovute a questo tipo di operazioni difficilmente salgono alla luce.



“La circoncisione delle ragazze è una pratica crudele e degradante, ed equivale a tortura. Pertanto è proibita”, recita la costituzione somala. Tuttavia, non esiste una legislazione che punisca coloro che la praticano. O meglio, tutti gli sforzi per far approvare le leggi sono stati bloccati dai parlamentari che temono di perdere i voti di una parte della comunità musulmana che sostiene quel rituale e lo vede come “parte delle tradizioni”. La Somalia è il Paese con il più alto tasso di donne sottoposte all'ablazione del clitoride. In base ad sondaggio realizzato nel 2011 dall'Unicef, circa il 98 per cento delle donne e delle ragazze somale hanno subito una qualche forma di mutilazione genitale femminile (Mgf).


La mutilazione genitale femminile viene considerata ancora “un rituale di passaggio” a cui, soprattutto con l’arrivo dell’estate, sono obbligate migliaia di adolescenti e bambine. Nei mesi estivi, infatti, comincia quella che gli abitanti locali chiamano “la stagione del taglio”  Una violazione dei diritti umani delle ragazze e delle donne riconosciuta a livello internazionale che continua ad essere praticata non solo in Africa ma anche in tanti altri Paesi del mondo. Oltre 200 milioni di bambine e donne sono sottoposte a questo rito crudele. Secondo i dati diffusi dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), la maggior parte di loro vive in Africa, Medio Oriente e Asia, ma la mutilazione genitale femminile viene praticata anche in Europa, Australia, Canada e negli Stati Uniti, dove queste popolazione sono emigrate.


Per ragioni ancora difficili da estirpare, senza che ci sia nessun beneficio per la loro salute, i corpi femminili vengono privati della loro sessualità. Le donne che hanno subito il taglio non possono avere relazioni sessuali normali ed il dolore durante il sesso è per loro, purtroppo, una cosa normale. Le complicazioni immediate possono includere: dolore intenso, eccessivo sanguinamento (emorragia), gonfiore del tessuto genitale, febbre, infezioni, problemi urinari e lesioni al tessuto genitale circostante e in alcuni casi anche la morte. Ma è quando la ferita si rimargina che le problematiche diventano croniche, con conseguenze importanti soprattutto per la salute materna. A tutto questo vanno aggiunti i problemi psicologici come depressione, ansia, disturbi da stress post-traumatico e in generale una bassa autostima.


“Qualunque forma assumano, le Mgf violano sempre i diritti delle bambine, delle ragazze e delle donne. Tutti – governi, operatori sanitari, leader comunitari e famiglie – devono accelerare i nostri sforzi per eliminare definitivamente queste pratiche”, ha affermato Geeta Rao Gupta, l’ex vicedirettrice dell'Unicef. “I governi devono intensificare il loro impegno per proteggere i diritti di milioni di ragazze e donne”, ha aggiunto. L'eliminazione delle mutilazioni genitali femminili è inclusa fra gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e dovranno essere raggiunti entro il 2030. Amref, da 60 anni la più grande organizzazione sanitaria africana che opera nel continente, ha lanciato la campagna "Stop the cut" – Fermiamo il taglio. E anche in Somalia gli attivisti sono impegnati a far conoscere alle famiglie le conseguenze delle mutilazioni genitali femminili.


“Sappiamo che questa è una pratica radicata nelle credenze tradizionali – ha ribadito Mohamed – ma crediamo che attraverso l'educazione si possa sensibilizzare le donne e le ragazze sui rischi per la salute e le violazioni dei diritti umani.  Sfortunatamente, la maggior parte di coloro che entrano nel nostro programma hanno già subito questa pratica. Tuttavia, speriamo che con tale conoscenza possano prendere decisioni informate quando alla fine diventeranno genitori per non sottoporre le loro figlie agli orrori della mutilazione genitale”.

Nessun commento:

Posta un commento