Le cosiddette “zone
morte”, cioè tratti di mare del tutto privi (o quasi) di ossigeno,
sono aumentate di oltre quattro volte a causa dei cambiamenti
climatici e dell'inquinamento. A rendere ancor più preoccupante la
situazione, il fatto che potrebbero non essere reversibili. Il
drammatico dato è stato diffuso dai ricercatori del Global Oxygen
Network, una task force di esperti nata nel 2016 e voluta dalla
Commissione oceanografica intergovernativa dell'UNESCO. Secondo gli
studiosi, coordinati dalla dottoressa Denise Breitburg, ecologa
marina presso lo Smithsonian Environmental Research Center,
l'innalzamento delle temperature oceaniche dovuto all'immissione dei
gas serra e la contaminazione provocata da acque reflue e deflusso
agricolo – tutti fattori provocati dall'uomo – hanno reso estese
aree marine praticamente inabitabili. Zone morte, appunto, come
quella del Golfo del Messico, che si estende per ben 13mila
chilometri quadrati (una superficie di poco inferiore a quella della
Calabria). Un tempo quest'area era ricca di biodiversità, oggi è
invece un vero e proprio deserto marino, l'emblema delle "Dead
Zones" a causa delle migliaia di tonnellate di veleni e
fertilizzanti trasportate e riversate dal Mississippi.
I ricercatori hanno
inoltre determinato che dagli anni '50 del secolo scorso le aree con
poco ossigeno sono aumentate di una superficie pari a quella
dell'intera Unione Europea. L'aumento è stato significativo lungo le
coste, che sono passate da 50 a 500 in circa 70 anni. “L'aumento
dei nutrienti e il cambiamento climatico stanno cambiando la
biogeochimica oceanica e il consumo di ossigeno è in aumento”,
hanno sottolineato gli studiosi nel documento. “Sono condizioni
insostenibili e possono causare collassi nell'ecosistema, che alla
fine provocheranno danni sociali ed economici”.
Breitburg e colleghi
indicano che per porre un argine all'espansione delle zone morte è
necessario invertire gli effetti dei cambiamenti climatici, oltre che
imporre divieti per la pesca al fine di permettere il ripopolamento
della fauna marina. Ma pur prendendo le doverose iniziative, è
possibile che per i prossimi decenni l'ossigeno continui a calare
inesorabilmente. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sulla
prestigiosa rivista scientifica Science.
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