sabato 23 febbraio 2019

Il cane rabbioso


Lo ammettono anche all’ANPI: ci sono stati episodi di banditismo anche fra i partigiani, che infatti i tedeschi chiamavano “banditen”. Pansa ne ha descritto parecchi, di questi casi, dopo il 25 aprile del ‘45, ma la Resistenza cominciò già dall’otto settembre del ‘43. A Roma, i “borgatari” diedero filo da torcere a fascisti e tedeschi per tutto il 1944, ma il connotato di criminalità emerse in pieno con un partigiano di nome Alvaro, soprannominato il gobbo, a causa della sua deformità fisica, il quale mise in piedi una banda dedita al mercato nero e ad altri atti criminosi. La sua vicenda, da partigiano a bandito, si concluse nel marzo del ‘45, con la sua morte, quando ancora nel nord Italia si combatteva. Nella scena finale, quasi un presagio, Alvaro assiste alla cattura di un cane idrofobo, in cui si identifica, visto che una certa consapevolezza non gli mancava. Disgraziatamente, trascina con sé nella sua caduta anche le persone che gli stavano vicino, a cominciare da una ragazza di borgata che aveva violentato, ma che, ciò nonostante, si era affezionata a lui, forse per la Sindrome di Stoccolma. Finisce male, alla resa dei conti, anche un inedito Pasolini nelle vesti di attore. Il film è del 1960, di quando ancora non c’erano effetti speciali e non si vedevano schizzi di sangue sprizzare dalle ferite. Ricorda un po’ quando giocavamo da bambini a farci la guerra: grandi smorfie di dolore e contorcimenti di arti nelle cadute a terra.

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