martedì 4 giugno 2019

Siamo tutti adoratori del cargo


Testo di Donato Italico

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, si diffusero in diverse isole del Pacifico sud occidentale i cosiddetti culti del cargo. In pratica i nativi di queste isole divinizzarono le navi e gli aeromobili che arrivavano dall'Europa o dagli Stati Uniti con gli aiuti alimentari. E quando questi aiuti cominciarono a non arrivare più, i nativi, pensando che gli déi fossero incolleriti, cominciarono a costruire finti aeroporti nella jungla e a praticare veri e propri "rituali di atterraggio" per propiziarne il ritorno. 


Fu un fenomeno di genesi religiosa molto studiato dai sociologi e dagli antropologi di tutto il mondo. Il sociobiologo evoluzionista Edward Osborne Wilson prese spunto per un suo libro "Il formicaio", che fu un piccolo fenomeno editoriale qualche anno fa. Immaginò che all'interno di un formicaio vi fosse un acceso dibattito tra formiche atee, scettiche sull'esistenza degli déi, e formiche credenti, convinte che esistessero delle divinità aventi le sembianze di alberi che camminano. Secondo le formiche credenti, questi divini alberi che camminano, in pratica gli esseri umani dal loro punto di vista, potevano donare loro grandi quantità di cibo (gli avanzi che le persone abbandonano in natura) oppure distruggerle senza motivo apparente con la loro collera (quando infastidite dalla loro presenza). 

E le formiche credenti in questo caso hanno ragione, anche se sappiamo bene che gli esseri umani non sono divinità soprannaturali. Quello che ci insegnano i vari culti del cargo, come pure il libro di Osborne Wilson, è che c'è sempre una spiegazione naturale per ogni cosa, anche quando di questa spiegazione ancora non disponiamo, perché si trova ancora all'esterno del nostro attuale e pur sempre limitato sistema di conoscenze. Essendo l'orizzonte del nostro sapere pur sempre limitato ma in continua espansione, tutto immancabilmente si spiega, presto o tardi, e nessuna pseudospiegazione soprannaturale resta mai tale.

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