Fonte:
Contropiano
Marcello
Lonzi muore nel carcere di Livorno la sera dell'11 luglio 2003. Per la Procura
si sarebbe trattato di "morte naturale", ma la madre, Maria Ciuffi,
da 10 anni chiede "la verità" e ora ha deciso di ricorrere alla Corte
di Strasburgo per avere giustizia.
"Al
cimitero ho visto dove era mio figlio, ho fatto uscire dalla stanza tutti
quelli che c'erano. Ho abbracciato la bara e ho detto: "Marcellino te lo
giuro, qualcuno pagherà per quello che ti hanno fatto". E io quella
promessa la rispetterò, costi quel che costi". Così Maria Ciuffi racconta
a TgCom la battaglia che combatte dal 2003 per far luce sulla morte del figlio
Marcello Lonzi, 29 anni, deceduto mentre era detenuto nel carcere di Livorno.
Marcello
Lonzi si trovava nel carcere "Le Sughere" di Livorno, per un una
condanna per tentato furto. Muore l'11 luglio del 2003. Per la Procura si è
trattata di un infarto, "cause naturali", ma la madre non ci ha mai
creduto e ora porta il caso di fronte alla Corte dei Diritti dell'uomo di
Strasburgo e, per sostenere la sua azione, ha lanciato una petizione online
che, in meno di quattro giorni, ha già superato le 10mila adesioni.
"Marcello
stava bene, non ha mai sofferto di cuore. Questo sarebbe già bastato per
insospettire chiunque. Poi ho visto il corpo di mio figlio, i lividi, i segni e
ho capito: nessuna morte naturale, qualcuno quell'infarto glielo ha fatto
venire a suon di calci e pugni".
La
Procura di Livorno ha però archiviato due volte le indagini sulla morte di suo
figlio...
"Ho
passato gli ultimi dieci anni a combattere, ho letto gli atti, ho parlato con
chi era in carcere con mio figlio. Troppe lacune, troppe stranezze: sì il caso è
stato archiviato due volte, ma sempre dallo stesso Gip. Per avere la
riesumazione del corpo di Marcello e far eseguire un'autopsia da un medico di
parte ho dovuto denunciare il pm di Livorno alla Procura di Genova, che ha
disposto un supplemento di indagine. Ma più che un supplemento di indagine era
un inizio: è venuto fuori che non era stato mai interrogato nessuno".
Cosa
ha scoperto con i nuovi esami che ha fatto eseguire?
"Mio
figlio aveva le costole rotte e non quelle che si rompono quando si fa il
massaggio cardiaco per la rianimazione. Altre. Aveva un'impronta di uno
scarpone sulla trachea. Aveva il polso rotto. Le foto mostrano chiaramente i
segni di un pestaggio".
"Ci
sono troppe cose che non tornano e testimonianze contrastanti. Innanzitutto
l'orario della morte. Stando agli atti, Marcello è morto alle 20.14. A parte
che non torna con l'orario delle chiamate al 118, ho parlato con il ragazzo che
era volontario sull'ambulanza. Ed è stato anche interrogato: lui è intervenuto
di giorno non di sera. Lo dice e lo ripete. Ma i carabinieri, presenti durante
la deposizione, volevano chiaramente che rispondesse altro. "Non è che era
stanco per il lungo turno in ambulanza e non ricorda bene?" gli
chiedevano".
A
che ora sarebbe morto suo figlio secondo lei? Non ci sono stati testimoni del
malore?
"Mio
figlio credo sia morto nel primo pomeriggio. Tornerebbe con quelli che sono i
risultati dell'autopsia e torna con molte testimonianze che ho raccolto. Ma
spesso queste dichiarazioni sono completamente cambiate di fronte ai pm. Come
quella del suo compagno di cella..."
Cosa
ha sostenuto il compagno di cella di Marcello?
"Agli
atti c'è questa dichiarazione: "Ho sentito un colpo, mi sono svegliato e
Marcello era morto". Ma a me ha detto altro, ha raccontato che non era in
cella, perché stava facendo la doccia, dopo aver lavorato tutto il giorno nella
falegnameria del carcere. Però davanti ai pm ha cambiato versione perché aveva
paura. Questo me lo ha ripetuto più volte: lui era dentro accusato di violenza
sessuale, una di quelle accuse che in carcere gli altri detenuti ti fanno
"pagare". Non lo aveva detto a nessuno e raccontava di essere dentro
per un furto. Per quello ha cambiato versione, perché aveva paura, o è stato
minacciato, che fosse svelata la verità".
E
gli altri detenuti, non hanno visto o sentito niente?
"Mi
è stato raccontato da un detenuto che il giorno in cui è morto, Marcello si era
preso con un secondino la mattina, ma sembrava finita lì. Poi aveva mangiato.
Subito dopo pranzo lo ha visto che lo portavano via. A volte capita che
qualcuno sia chiamato in qualche sezione o reparto. Ma non è più tornato in
cella. Alle 15.30, cosa molto insolita, hanno chiuso tutti i detenuti nelle
celle e non le hanno più riaperte. Quando le celle erano chiuse, questa persona
mi ha raccontato di aver sentito correre e urlare".
Cosa
sarebbe successo secondo lei? "Mio
figlio è stato portato in isolamento. E lì è stato barbaramente picchiato.
Tanto da fargli venire un infarto. Poi quando si sono resi conto di aver
esagerato, hanno cercato di coprire tutto. Per quello hanno chiuso tutti in
cella, per poterlo riportare nella sua, probabilmente già morto, senza che gli
altri lo vedessero".
Ha
avuto altre conferme in questo senso, altre testimonianze?
"Una
donna, una ex detenuta in carcere a Livorno quando c'era anche Marcello, mi ha
raccontato di essere stata avvertita nel pomeriggio, e non la sera, che era
morto. Pensavano che fosse la sua compagna... E poi un altro fatto inquietante:
una guardia sarebbe arrivata di corsa da un'infermiera che lavora a "Le
sughere" e le avrebbe detto: "Corri corri, mi è morto fra le
mani". Naturalmente di questa testimonianza non c'è traccia negli atti.
L'infermiera ha deposto in Procura, poi il giorno dopo è tornata al carcere e
ha tentato il suicidio. Successivamente ha cambiato la sua deposizione".
"C'è
poco da dire, mi hanno detto: "Maria è così, va così da sempre. A turno
tocca a tutti, anch'io ho preso le botte. A me è andata bene. A lui no".
Non hanno dubbi insomma che sia stato picchiato a morte".
Cosa
farà adesso?
"Avevo
fiducia nello Stato, credevo che ci proteggesse. Dopo tutto questo non crederò
più nella giustizia. È troppo evidente che qualcuno ha voluto insabbiare tutto
questo caso. Mi scrivono spesso tanti ragazzi che mi dicono che hanno paura.
Paura della polizia, paura di poter entrare in un carcere e non uscirne più. Ma
mi scrivono anche dei secondini e degli agenti per chiedermi scusa, perché non
tutti sono come quelli che io e mio figlio abbiamo incontrato sulla nostra
strada".
"Adesso
spero che l'appello alla Corte di Strasburgo porti a qualcosa. Io voglio solo
giustizia, voglio andare a processo. La mia vita da dopo la morte di Marcello,
non è stata più la stessa. Prima era la vita, dopo è stato solo il buio. L'ho
promesso a mio figlio, chi gli ha fatto questo la pagherà. Costi quel che
costi. Sono disposta anche ad andare in galera, ma qualcuno la pagherà".
Nessun commento:
Posta un commento