Fonte:
Repubblica
Testo
di Rosita Rijtano
ROMA
- Per trovare mondi paralleli non bisogna andare lontano, nessun viaggio
intergalattico: basta accendere il personal computer, collegarsi alla Rete, e aprire Facebook, dove coesistono diversi universi destinati a non
incontrarsi mai (o quasi) e popolati da utenti con gli stessi interessi, le
stesse paure, la stessa dieta mediatica. Ed è qui, nella presunta genesi di
microcosmi digitali, che - secondo alcuni studiosi - si nasconderebbe il
segreto della viralità delle burle internettiane. "Le bufale si diffondono
tanto, e velocemente, semplicemente perché sulla rete sociale tendiamo a fare
amicizia con persone simili a noi, che fruiscono i nostri stessi contenuti",
spiega Walter Quattrociocchi, informatico, coordinatore del Laboratory of
Computational social science dell'IMT
di Lucca.
Un
like tira l'altro, insomma:
questa sarebbe la formula magica, la chiave che ci permetterebbe di capire
perché alcuni post, anche se palesemente farlocchi, hanno molto successo sul social
network di Mark Zuckerberg.
Prevedibile, forse. Un conto però è la teoria, un altro paio di maniche è la
dimostrazione matematica, scientifica. Quattrociocchi sostiene di averla fatta
in un nuovo studio, dal titolo "Viral Misinformation: The role of
Homophily and Polarization"
(tradotto come
"Disinformazione virale: il ruolo dell'omofilia e della
polarizzazione"), condotto con altri sette ricercatori, dislocati in
diverse università italiane, e che Repubblica.it ha potuto visionare in
anteprima.
Complottisti
contro scienziati. Bisogna fare un
paio di necessarie premesse. Il paper affonda le sue radici in diversi lavori precedenti. Sempre targati IMT.
"Una trilogia del complotto", l'ha definita Fabio Chiusi su Wired.
Dove il team ha, di volta in volta, vivisezionato le abitudini di milioni di
italiani sulla piattaforma di Menlo Park, in base al modo in cui si informano
sul social (se fanno riferimento
ai media classici, o a dei siti scientifici, o a quelli di informazione non
tradizionale), per arrivare a interessanti conclusioni. Non solo, per
l'appunto, che su Facebook
"chi si somiglia si piglia". Ma anche che "le varie categorie di
utenti, da noi prese in esame, interagiscono molto poco tra loro", spiega
Quattrociocchi, "e quando lo fanno litigano, si insultano, ognuno resta
della sua idea, poco importa se sia giusta o sbagliata". Non solo:
"Appassionati di scienza e complottisti, cioè quegli internauti che si
informano su pagine definite alternative, dedicano alle diverse news che leggono la stessa quantità di attenzione, tutto
indipendentemente dalla qualità dell'informazione, e persino dalla sua
veridicità, perciò le notizie false hanno la stessa rilevanza delle notizie
vere".
E
chi, fra gli utenti, ha più probabilità di scambiare la bufala, o la satira,
per un fatto reale? - è la successiva domanda quasi obbligatoria. Il
ricercatore non ha dubbi: "Osservando i contenuti a cui è generalmente
esposto chi la condivide, troviamo
i fan delle pagine di controinformazione, cioè di notizie difficili da
verificare. Esempi: Lo Sai, Vaccini e Basta o Coscienza Sveglia". Se siamo
disposti a fare un passo in più, in un altro paper che - anche in questo caso - abbiamo avuto in preview, Quattrociocchi & Co. suggeriscono la fede
politica di molti "creduloni" digitali. "Questa tipologia di
utenti scrive il 27,13 per cento dei commenti che ci sono sulla pagina di Beppe
Grillo", chiosa il ricercatore. Insomma, stando ai lavori del gruppo IMT,
seppur con tutti i dubbi che può lasciare un'analisi non generalizzabile,
limitata a un solo Paese e a determinate tipologie di alimentazione digitale,
ci comportiamo così sulla rete sociale più popolare al mondo. Che conta 1
miliardo e 350 milioni di iscritti. Una bordata per chi sostiene che internet
sia necessariamente il luogo dell'intelligenza collettiva.
Bufale
virali: il ruolo di omofilia e polarizzazione. Ma come, queste dinamiche
relazionali, influiscono sulla diffusione pervasiva della disinformazione? Ed
ecco che si arriva al nuovo studio, un monitoraggio spalmato nell'arco di 4
anni, e diviso in due fasi. Nella prima gli informatici hanno analizzato post e
like di 73 pagine aperte in
Italia sul network firmato
Zuckerberg: 34 scientifiche (Science & Co.), e 39 cospirazioniste (Lo Sai
& Co.). "Così", prosegue Quattrociocchi, "siamo riusciti ad
inquadrare come si comportano 1,2 milioni di utenti nostrani (su 25 milioni di
utenti attivi al giorno, secondo i dati che ci ha fornito un portavoce di
Facebook, ndr), e a stabilire matematicamente che il numero di "Mi
piace" su un determinato post è direttamente collegato all'omofilia, cioè
al numero di amici che consumano lo stesso tipo di contenuto". In
concreto: più il fake è condiviso
da persone che conosciamo, e più aumentano le possibilità di essere contagiati
dalla burla a nostra volta. Mentre nulla contano hub e influencer, anzi: la probabilità di trovarne uno diminuisce all'aumentare della
viralità della news. Per il
secondo step, invece, la lente
del team ha zoomato su 4,709
annunci fasulli, messi in circolazione da due pagine satiriche:
"Semplicemente Me" e "Simply Humans". Bufale, ma considerate vere dai naviganti.
Spiega l'informatico: "Sono state tutte ripubblicate da utenti molto
polarizzati, cioè in media con circa l'80 per cento di like su fonti di informazione complottarda, difficili da
controllare. Trovato uno, trovati tutti. Perché, grazie all'omofilia, possiamo
individuare con esattezza la rete di amicizia di ognuno di loro".
Il
problema non è il mezzo: "Manca una preparazione scientifica".
"Un lavoro impostato su un'interessante mole di dati", commenta David
Lazer, professore alla Northeastern University, e uno dei papà della Computational social
science, la disciplina che propone
un approccio computazionale alle scienze sociali. "Ma non sappiamo niente
di ciò che succede al di fuori del social network preso in esame, cioè di Facebook, come per esempio
nelle mailing list". Lo
stesso concetto di disinformazione - secondo Lazer - è troppo vasto per poter
esser ben inquadrato. Aggiunge: "Ciò che è disinformazione per uno, può
essere informazione per qualcun altro. Si tratta, del resto, di un fenomeno che
esiste da sempre. Per cui sarebbe più interessante chiederci: quanto internet e
i social network lo agevolano
rispetto ai media tradizionali?". Trovare una risposta è difficile. Certo,
sul web le bufale si diffondono
velocemente. "La disinformazione digitale" è "uno dei principali
rischi della società moderna", ha ammonito il report 2013 del World Economic Forum. E dalla piattaforma di Menlo Park passa una fetta sempre più consistente delle news che mastichiamo ogni giorno. Ma è anche vero che,
quando e se vogliamo, possiamo ottenere la news più corretta e completa. Con lo stesso click. Con lo stesso strumento. Con la stessa velocità.
Per Rosaria Conte, scienziata cognitiva e vice presidente del Consiglio
scientifico del Cnr, il problema quindi non è il mezzo, "ma la mancanza di
una preparazione scientifica da parte di chi fornisce, e fruisce, le
notizie". Conclude: "A essere virali non sono tanto le bufale, ma le
informazioni non verificate, e la loro conseguente accettazione acritica, un
atteggiamento da abbandonare". In questo mondo. Come in un altro,
parallelo.
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