In questi giorni Tina dovrebbe chiedere
informazioni su come fare ad ottenere il permesso di soggiorno per
me, in Madagascar, non come imprenditore, ma per una sorta di
ricongiungimento familiare, dato che ci siamo sposati a Tulear nel
febbraio del 2011. Nel 2007 mi ero rivolto al signor Rivo, un
malgascio che aveva anche un'agenzia immobiliare e che si occupava
delle pratiche burocratiche per gli stranieri. Il permesso che mi fu
dato fu di due anni, ma dopo sei mesi dovetti rientrare in Italia per
rinnovare il passaporto. All'epoca, l'intera procedura mi costò
1.000 euro, ma stavolta dovrebbe venirmi a costare molto di meno
perché non si tratta di fare business, per me, ma di ricongiungermi
con mia moglie. E poi, il signor Rivo, come nelle migliori
tradizioni, negli anni successivi fece perdere le sue tracce,
inseguito dai creditori. Succede, in Madagascar. E non solo. Quando
il signor Rivo mi chiese che nome volevo dare alla società di
import/export, dissi: “Nautilus” poiché intendevo occuparmi di
fossili e minerali, anche se in modo estremamente dilettantesco. Non
si trattava di una vera e propria società, ma di un pretesto legale
per avere il permesso di soggiorno. Non c'è niente di illegale, in
questo. Basta pagare le tasse. Rivo mi rispose: “Non è possibile.
La società Nautilus esiste già!”. Quindi replicai, sicuro che a
nessuno sarebbe mai venuto in mente: “Allora la chiamerò Bibi
Namana”. Che tradotto dal malgascio significa: animali amici.
Oggi
che Rivo non è più disponibile, anche se non sarebbe stato saggio
rivolgermi nuovamente a una persona disonesta, Tina ha fatto una
telefonata a una donna poliziotto sua amica, che abita a Tanà e si
chiama Sabine. Costei le ha detto che è meglio se si incontrano di
persona, il che non avverrà molto presto, ma solo quando Tina avrà
un po' di soldi da parte per andare nella capitale a fare incetta di
vestiti per il suo business. Nel frattempo, l'unico posto a Tulear
dove può andare a chiedere informazioni è la polizia
“divisionnaire”, dove andammo due volte e in entrambi i casi ci
fecero vazaha-profite. La prima volta, proprio nel 2007, fu una donna
poliziotto a chiederci dei soldi, ma noi, per legittima difesa,
facemmo finta di non capire. La seconda volta fu l'anno scorso e
mentre io, il piccolo Sammy, la figlia di Tina, Annika, e il conducente
del ciclo-pousse aspettavamo fuori, Tina chiedeva l'autenticazione
della fotocopia del mio passaporto e del visto. Il poliziotto che,
con molta calma, alla fine si occupò di lei, non trovò niente di
meglio per imporre la sua autorità che mandarla a rifare la
fotocopia perché quella che avevamo portato noi era piegata in
quattro. Errore gravissimo! Uscita dagli uffici, Tina dovette tornare
in centro a rifare la fotocopia e, prima di riceverla indietro
timbrata e firmata, dovette allungare una mancia al suo/nostro
aguzzino. Un aguzzino da quattro soldi, che ci fece perdere mezza
mattinata e a cui basta indossare una divisa per sentirsi un
padreterno. Di sbirri cafoni del genere ne è pieno il mondo, anche
quello sedicente civilizzato nel quale viviamo.
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