giovedì 8 settembre 2016

Disonesti in divisa e in borghese



In questi giorni Tina dovrebbe chiedere informazioni su come fare ad ottenere il permesso di soggiorno per me, in Madagascar, non come imprenditore, ma per una sorta di ricongiungimento familiare, dato che ci siamo sposati a Tulear nel febbraio del 2011. Nel 2007 mi ero rivolto al signor Rivo, un malgascio che aveva anche un'agenzia immobiliare e che si occupava delle pratiche burocratiche per gli stranieri. Il permesso che mi fu dato fu di due anni, ma dopo sei mesi dovetti rientrare in Italia per rinnovare il passaporto. All'epoca, l'intera procedura mi costò 1.000 euro, ma stavolta dovrebbe venirmi a costare molto di meno perché non si tratta di fare business, per me, ma di ricongiungermi con mia moglie. E poi, il signor Rivo, come nelle migliori tradizioni, negli anni successivi fece perdere le sue tracce, inseguito dai creditori. Succede, in Madagascar. E non solo. Quando il signor Rivo mi chiese che nome volevo dare alla società di import/export, dissi: “Nautilus” poiché intendevo occuparmi di fossili e minerali, anche se in modo estremamente dilettantesco. Non si trattava di una vera e propria società, ma di un pretesto legale per avere il permesso di soggiorno. Non c'è niente di illegale, in questo. Basta pagare le tasse. Rivo mi rispose: “Non è possibile. La società Nautilus esiste già!”. Quindi replicai, sicuro che a nessuno sarebbe mai venuto in mente: “Allora la chiamerò Bibi Namana”. Che tradotto dal malgascio significa: animali amici. 



Oggi che Rivo non è più disponibile, anche se non sarebbe stato saggio rivolgermi nuovamente a una persona disonesta, Tina ha fatto una telefonata a una donna poliziotto sua amica, che abita a Tanà e si chiama Sabine. Costei le ha detto che è meglio se si incontrano di persona, il che non avverrà molto presto, ma solo quando Tina avrà un po' di soldi da parte per andare nella capitale a fare incetta di vestiti per il suo business. Nel frattempo, l'unico posto a Tulear dove può andare a chiedere informazioni è la polizia “divisionnaire”, dove andammo due volte e in entrambi i casi ci fecero vazaha-profite. La prima volta, proprio nel 2007, fu una donna poliziotto a chiederci dei soldi, ma noi, per legittima difesa, facemmo finta di non capire. La seconda volta fu l'anno scorso e mentre io, il piccolo Sammy, la figlia di Tina, Annika, e il conducente del ciclo-pousse aspettavamo fuori, Tina chiedeva l'autenticazione della fotocopia del mio passaporto e del visto. Il poliziotto che, con molta calma, alla fine si occupò di lei, non trovò niente di meglio per imporre la sua autorità che mandarla a rifare la fotocopia perché quella che avevamo portato noi era piegata in quattro. Errore gravissimo! Uscita dagli uffici, Tina dovette tornare in centro a rifare la fotocopia e, prima di riceverla indietro timbrata e firmata, dovette allungare una mancia al suo/nostro aguzzino. Un aguzzino da quattro soldi, che ci fece perdere mezza mattinata e a cui basta indossare una divisa per sentirsi un padreterno. Di sbirri cafoni del genere ne è pieno il mondo, anche quello sedicente civilizzato nel quale viviamo.  


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