mercoledì 14 settembre 2016

Come conciliare il diritto di cronaca con quello alla privacy?


Sono molto socievole e non ho difficoltà a considerare come amica una persona che incontro per la prima volta e che mi racconta la sua vita. Indi per cui, quando D.M. mi chiese di non scrivere alcun articolo su di lui, dopo che mi aveva raccontato le sue avventure, gli giurai, da amico ad amico, che non avrei mai raccontato dell'assalto subito da parte dei “malaso”, mentre lavorava nel suo ristorante di Anakao. Mio malgrado dovetti giurargli che non avrei mai scritto che i tre banditi giunsero via mare a bordo di una piroga e che riempirono di botte sia lui che il suo socio, ma soprattutto lui, perché gli intimavano di mostrar loro la seconda cassaforte. D.M. non aveva due casseforti, ma solo una, che fu svuotata del contenuto, nel panico generale, con gli avventori del ristorante terrorizzati, infliggendo al proprietario e al suo socio, entrambi lombardi, un'ingente perdita pecuniaria. Dovetti promettergli, quando me lo raccontò, che non lo avrei mai scritto nel blog perché ciò sarebbe stata una cattiva pubblicità e i clienti avrebbero disertato il suo albergo ristorante, come se fosse colpa sua che in Madagascar la criminalità sia in aumento, probabilmente a causa della crisi economica mondiale. Oppure, anche semplicemente perché i vazaha sono degli obiettivi privilegiati per chi ha fatto dei reati predatori il suo stile di vita.



Gliel'ho promesso e fino ad oggi ho mantenuto tale promessa. In un certo senso, la sto mantenendo tuttora giacché non ho citato il nome del suo albergo ristorante, benché sull'isola di Anakao di alberghi gestiti da italiani non ce ne siano molti. Al di là della cattiva pubblicità, dovuta alla sfortuna di essere stati presi di mira dai delinquenti, trovo importante far sapere che questo genere di rapine accadono in Madagascar, fanno parte del “pacchetto vacanze” e vanno messe in preventivo. Gli ultimi due bianchi uccisi in Madagascar per rapina sono stati un ragazzo e una ragazza francesi, sull'isola di Santa Maria. Cosa vogliamo fare? Evitare di viaggiare in giro per il mondo per la paura della criminalità? Tanto vale non uscire neanche di casa, a questo punto.



Se D.M. mi ha proibito di parlare di lui e del fatto che prima di aprire il ristorante era vissuto ospite di un capo villaggio Antandroy, imparando alla perfezione il dialetto locale e che alla fine, come segno di amicizia, il capo gli aveva regalato un appezzamento di terreno, il compagno di D.M. - che vediamo in foto - non mi ha chiesto nulla. Non ho l'obbligo del silenzio con Papillon, nome d'arte del fidanzato di D.M. Il fatto è che di Papillon non so granché. So solo che è un musicista, anzi il cantante di una band. E del resto, anche D.M. prima di trasferirsi in Madagascar, aveva il suo complesso musicale. Dunque, i simili si attraggono, sia sul piano sessuale, che su quello artistico. Il che ci porta alla conclusione che essere gay in Madagascar non è poi una disgrazia come nella Nigeria musulmana. In Madagascar i gay sono tutt'al più presi in giro, ma nessuno farebbe loro del male. Se poi suonano le musichette di cui la gente va pazza, finiscono per diventare idoli delle ragazzine.


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