Fonte: Torino Today
I ricci, se non si farà nulla, si estingueranno nel giro di 10-20 anni. A lanciare l'allarme è il dott. Massimo Vacchetta, veterinario che dirige il Centro Ricci “La Ninna” che oggi ospita circa 200 di questi piccoli mammiferi notturni, alcuni resi disabili dall'attività dell'uomo, investimenti, ferite da decespugliatori e dai tosaerba robotizzati, altri recuperati in condizioni difficili a causa delle conseguenze del cambiamento climatico, impossibilità di andare in letargo, mancanza di prede per l'utilizzo massiccio di prodotti chimici in agricoltura, nei nostri orti e nei giardini.
I ricci: le sentinelle dell'ecosistema
Vacchetta da otto anni, in qualità di veterinario, si occupa del recupero e della cura dei ricci, raccogliendoli nella sua casa-ospedale di Novello, un paesino su una rocca delle Langhe, nella zona di Barolo. "Dopo aver lasciato la libera professione negli allevamenti dei bovini, ho intrapreso questa missione che mi permette di aiutare gli animali e al tempo stesso di cercare di fare qualcosa di concreto per tutelare l’ambiente. La mia diretta esperienza con la fauna selvatica, anche se limitata ad una sola specie, i ricci appunto, mi ha fatto toccare con mano quanto sia grave la problematica del degrado ambientale e del riscaldamento globale e quanto poco sia purtroppo percepita dalla gente”, ha detto.
“Mentre tutti plaudono all’arrivo anticipato della primavera e al clima straordinariamente mite di questi giorni, io non riesco a contenere la mia inquietudine di fronte al paesaggio brullo e arido delle colline che vedo dalla mia finestra. Da due mesi ormai non cade una goccia d’acqua e la temperatura si è mantenuta abbondantemente sopra i dieci gradi per gran parte del mese di gennaio, arrivando addirittura a toccare punte di quasi 20 gradi durante i giorni della Merla, tradizionalmente i più freddi dell’anno”, sottolinea.
Secondo i dati dell'organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) il 2021 è stato uno dei sette anni più caldi mai registrati ed il settimo anno consecutivo (2015-2021) in cui la temperatura globale è stata mediamente superiore di oltre un grado centigrado in confronto ai livelli preindustriali, portando ai cambiamenti climatici che stiamo vivendo ora. I più giovani non hanno conosciuto gli inverni freddi e rigidi, con abbondanti precipitazioni nevose e il ghiaccio che ornava il bordo dei tetti e le temperature che scendevano abbondantemente sotto lo zero. Un bene per noi e per l’agricoltura, perché il manto nevoso proteggeva la vegetazione e le colture dal freddo e le manteneva umide e sane. Se queste sono state le conseguenze dell'aumento di un solo grado negli ultimi 30 anni, si può immaginare quanto sarebbe catastrofico l'aumento delle temperature di 4-6 gradi che la scienza prevede, se andremo avanti di questo passo, nell'arco di questo secolo.
Ricci, il rischio estinzione
I ricci, che sono sul pianeta Terra da 15 milioni di anni, vivendo a contatto con il suolo, sono animali considerati sentinella dello stato di salute di un ecosistema. Il loro rapido declino è sintomatico dei danni che l'uomo sta causando al pianeta con un calo numerico di ben il 70% in Europa, in soli 20 anni. In Inghilterra il calo è ancora più evidente e drammatico: dagli anni '70 a oggi sono scesi da 30 milioni a ottocentomila.
Di questo passo, se non si farà nulla, i ricci si estingueranno nel giro di 10-20 anni. Le ragioni per cui stanno scomparendo sono molteplici e vanno dalla perdita del loro habitat, all’espansione delle monocolture, dal declino del numero di insetti, agli incidenti d’auto e all'abuso di pesticidi. Ad aggravare una situazione già compromessa, ora ci si è messo anche il cambiamento climatico. Le temperature in rapido aumento rendono la vita sempre più difficile alla fauna selvatica che fatica ad adattarsi, anche perché tutto sta avvenendo molto velocemente. I periodi di protratta siccità causano un’ecatombe di morti per disidratazione e denutrizione, così come i periodi sempre più prolungati di caldo intenso provocano un aumento vertiginoso della mortalità per shock termico. Gli animali selvatici, a differenza nostra, non hanno facile accesso all’acqua e non hanno case che li proteggono dal caldo. Il protrarsi della stagione calda sta anche causando uno stravolgimento del ciclo riproduttivo dei ricci.
“Nell'autunno del 2021 abbiamo dovuto recuperare oltre 70 soggetti molto giovani nati nei mesi di ottobre, novembre e dicembre: troppo tardi per poter mettere su il peso necessario a superare l’inverno. Vent'anni fa queste cose non succedevano perché la stagione delle nascite era limitata alla primavera e all’estate. Ora abbiamo, da diversi anni, una seconda cucciolata in autunno. Il novanta per cento dei piccoli nati in questo periodo è destinato a morire di fame e di stenti. Un riccio dovrebbe andare in letargo a novembre con un peso superiore ai 600 grammi per avere qualche possibilità di rivedere la primavera. Invece nel nostro ospedale abbiamo soccorso piccoli di appena 200 grammi in tardo autunno, come “Talpa”, un bellissimo cucciolo dal nasino rosa, trovato in pieno giorno, che barcollava stremato dalla denutrizione”, spiega Vacchetta.
I ricci, come la maggior parte degli animali, hanno un importante ruolo nel mantenere in vita un ecosistema che permette anche a noi di sopravvivere. L’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo, il cibo prodotto dall’agricoltura e un clima mite sono fondamentali per la vita dell'uomo e sono sempre più minacciate dall'effetto serra e dallo sfruttamento scriteriato delle risorse naturali.
“Il Centro La Ninna ha deciso di fare passi avanti concreti, come quello di installare i pannelli solari per l’acqua calda, avviare un progetto di ricerca sulle cause di mortalità dei ricci assieme all’Università di Torino e infine di creare un parco naturale nell’Alta Langa, dove sono già stati acquisiti venti ettari. Bisogna rimboccarsi le maniche, cominciare ad agire e proteggere tutte le creature di questo pianeta, soprattutto le più fragili. Non voglio che i ricci si estinguano, non solo perché li ritengo animali meravigliosi, ma perché temo che il loro destino possa presto diventare il nostro...” ha concluso Massimo Vacchetta, sottolineando come i ricci sotto la sua custodia non abbiano bisogno di cibo, perchè la Fondazione Cappelino dona le crocchette, ma che c’è sempre bisogno di una mano e come i volontari siano sempre i beventuti. Per maggiori informazioni potete visitare questo indirizzo.
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