Fonte:
Amnesty International
La
condanna emessa il 29 luglio 2013 nei confronti dello scrittore e attivista
Raif Badawi a sette anni di prigione e 600 frustate, per aver espresso
pacificamente le sue idee, è un affronto alla giustizia e una vergognosa
violazione dell'Arabia Saudita degli obblighi nei confronti dei diritti umani.
La fustigazione è una punizione corporale che viola il diritto internazionale,
che proibisce la tortura e i trattamenti o le punizioni crudeli inumane o
degradanti.
Amnesty
International condanna fortemente la deriva delle autorità dell'Arabia Saudita
verso la repressione della libertà di espressione e le numerose condanne degli
attivisti per i diritti umani compiute dall'inizio del 2013. L'organizzazione
per i diritti umani considera Raif Badawi e tutte le altre persone detenute
esclusivamente per aver esercitato il loro diritto alla libertà di espressione
come prigionieri di coscienza e ne richiede l'immediato e incondizionato
rilascio.
Il
29 luglio un tribunale penale di Gedda, nell'Arabia Saudita occidentale, ha
condannato Raif Badawi per aver, tra l'altro, creato e diretto un forum online, "Liberali dell'Arabia Saudita", dove sono
apparsi post anonimi e che è stato considerato offensivo verso l'Islam dalle
autorità religiose. Raif Badawi è stato inoltre condannato per aver insultato
simboli religiosi nei sui tweet e
post su Facebook e per aver criticato la Commissione per la promozione della
virtù e la prevenzione del vizio (conosciuta anche come polizia religiosa) e le autorità che si sono schierate
contro l'inclusione delle donne nel Consiglio della Shura. Il giudice ha inoltre ordinato la chiusura del
forum online.
Il
processo e la condanna di Raif Badawi per aver espresso la sua opinione, tra
cui aver messo in discussione l'interpretazione ufficiale della religione e
delle pratiche religiose, è l'ultimo episodio di un crescente tentativo da
parte delle autorità saudite di prevenire ogni forma di libertà di espressione.
Durante
il 2013 le autorità saudite hanno molestato, intimidito, imprigionato e condannato
una decina di attivisti di spicco per i diritti umani per aver esercitato i
loro diritti alla libertà di espressione, associazione e assemblea. Il giorno
in cui Raif Badawi è stato condannato, il suo avvocato, Waleed Abu al-Khair,
che è un noto difensore dei diritti umani, è comparso in tribunale per la
13esima sessione del suo processo, che va avanti da 20 mesi, imputato di aver
ridicolizzato il sistema giudiziario saudita.
Solo
nel giugno 2013, le autorità hanno condannato al carcere almeno undici persone
per essersi espresse online. Il
24 giugno, il tribunale penale speciale di Dammam ha condannato sette uomini a
pene che vanno dai cinque a 10 anni di prigione per aver scritto post su
Facebook a sostegno di un detenuto appartenente al clero sciita dell'Arabia
Saudita nella provincia occidentale del paese, dove le manifestazioni in corso
erano state represse con un uso eccessivo della forza.
Lo
stesso giorno le autorità hanno processato e imprigionato Abdulkareem Yousef
al-Khoder, un professore di diritto islamico e co-fondatore dell'associazione
saudita per i diritti civili e politici (ACPRA) a otto anni di prigione e al
divieto di viaggiare per dieci anni, per accuse vaghe come disobbedienza al
sovrano, incitamento al disordine attraverso la convocazione di manifestazioni,
danneggiamento dell'immagine dello stato mediante diffusione di false
informazioni a gruppi stranieri e coinvolgimento nella fondazione di
un'organizzazione non autorizzata. In precedenza, a marzo, le autorità avevano
condannato altri due co-fondatori di ACPRA e difensori dei diritti umani,
Abdullah bin Hamid bin Ali al-Hamid e Muhammad bin Fahad bin Muflih al Qahtani,
a cinque e dieci anni di carcere e di divieto di viaggiare, per simili vaghe
accuse.
Il
17 giugno, il tribunale penale speciale di Gedda aveva condannato un attivista
di spicco per i diritti umani, Mikhlif bin Daham al -Shammari, a cinque anni di
prigione seguiti dal divieto di viaggiare per dieci anni, per il suo pacifico
attivismo per i diritti umani. Sempre a giugno le autorità avevano condannato
due attiviste per i diritti umani, Wajeha al-Huwaider e Fawzia al-Oyouni, a
dieci mesi di prigione per aver tentato di aiutare una donna che le autorità
ritenevano stesse sfuggendo al controllo del marito.
Oltre
alle misure repressive contro gli attivisti e le organizzazioni, le autorità
dell'Arabia Saudita hanno tentato di eliminare la presenza online e gli account sui social media degli attivisti e delle associazioni, come hanno fatto
col sito web di Raif Badawi, i Liberali dell'Arabia Saudita. Hanno ordinato di
chiudere l'account sui social
media di ACPRA lo stesso giorno in cui l'associazione è stata sciolta. Decine di donne e uomini arrestati nei
mesi scorsi sono stati obbligati a cancellare il proprio account sui social media e sono stati minacciati di subire
una condanna più lunga se avessero parlato pubblicamente del loro caso o usato
internet per impegnarsi in attività pubbliche.
Il
fatto che gli attivisti vengano arrestati e condannati sulla base del contenuto
dei loro tweet o dei loro
messaggi su Facebook suggerisce che le autorità monitorano da vicino lo spazio
pubblico. Alcuni sono stati condannati per aver contattato gruppi stranieri (
in molti casi organizzazioni internazionali per i diritti umani) e per aver
raccolto e condiviso informazioni su Internet.
Le
autorità saudite hanno anche adottato misure per monitorare e controllare software criptati di social network come Viber, Skype e
Whatsapp. A marzo è trapelata una lettera "confidenziale e urgente"
da parte della Commissione saudita per le comunicazioni e la tecnologia
informatica che chiedeva ai provider internet di "fare tutti i passi necessari per ottenere un controllo di sicurezza
sulle comunicazioni". In una seguente lettera "confidenziale e urgente"
la Commissione ha poi chiesto a tutti i provider di informare le autorità sui progressi fatti per
monitorare le applicazioni dei social media e, in assenza di progressi, di
rendere note le loro capacità tecnologiche per chiuderli. Subito dopo Viber ha annunciato
che i suoi servizi erano bloccati, anche se sono stati ripristinati dopo pochi
giorni.
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