I
lemuri sono una fortissima attrazione turistica, per la scienza sono
straordinariamente importanti, il governo malgascio li mette sui francobolli e
sulle banconote e c'è perfino un'azienda tessile, la Maki, che li usa come logo
e li mette sulle magliette, molto richieste dai turisti.
Un
minimo di riconoscenza, ai lemuri, i malgasci gliela devono. E invece, a
testimonianza dell'inesistente coscienza zoofila, o anche solo ecologista,
degli abitanti del Madagascar, il giorno dopo vidi uno dei ragazzi che stazionavano
in piazza tirare sassi al lemure, non so se lo stesso o l'altro, dato che non
hanno dimorfismo sessuale, e quando lo inchiodai con il mio muto sguardo di
rimprovero, tenne la mano armata di sassi ferma lungo l'altro fianco,
lasciandoli cadere lentamente e pensando che io non me ne sarei accorto.
Stavolta
non c'era cibo da difendere perché la proscimmia stava solo dando
acrobaticamente la scalata all'Orchidée de l'Isalo, l'albergo dove eravamo
alloggiati, che si affacciava anch'esso sulla piazza. Il Catta entrò in una
camera al primo piano, attraverso la finestra aperta, ma nessun umano reagì
all'interno facendolo scappare. Stetti un po' ad aspettare e alla fine l'animale
uscì e ritornò verso l'hotel Berny, sua dimora abituale.
Vista
l'aria che tira, prima o poi a quei due Catta gliela faranno pagare, la
sentenza è già stata emessa: condannati a morte per ripetuti furti di cibarie.
Ci
saranno due lemuri in meno sulla terra, il signor Berny forse si rammaricherà
per la perdita della sua vivente attrazione, nessun colpevole verrà punito, fra
l'indifferenza generale, e i turisti continueranno a comprare le magliette
Maki. Io ero amareggiato ancora un pò di più.
Ormai
mancavano ancora una decina di giorni al 16 gennaio, giorno della mia partenza,
e mi sentivo già in pieno esurimento nervoso. Troppo stressante aver a che fare
con i selvaggi.
A
quel punto non avevo più scrupoli a dirlo a voce alta: "Malgache
sauvage", anziché limitarmi solo a pensarlo, tante me ne avevano fatte
passare dopo quasi tre mesi. Presa per metro la frase di Gandhi secondo cui
"il livello di civiltà di un popolo si vede da come sono trattati gli
animali", come dobbiamo giudicare quei conducenti di carri che gli zebù,
per farli solo camminare, li bastonano, ma per farli correre li pungolano nelle
natiche e gli mordono la coda fra urla selvagge e brutali frustate sul
groppone?
E
come si spiegano le cicatrici sul corpo di parecchi cani e il correre su tre
zampe di molti di loro e la paura che li faceva scappare quando mi fermavo,
facevo il gesto di lanciargli qualcosa e non si accorgevano nemmeno che quel
qualcosa era solo un pezzo di pane perché erano già schizzati via, lontano?
Cani
che mentre da noi hanno generalmente un padrone che si prende cura di loro,
benché anche qui esista il fenomeno dell'abbandono, in Madagascar sono
totalmente abbandonati a se stessi e devono trovare il cibo da soli come fanno
le oche, i polli e i tacchini, che razzolano liberi nelle strade dei villaggi,
senza venire investiti dalle macchine.
Un
uomo che insistentemente si proponeva di farmi da guida nel parco dell'Isalo mi
aprì gli occhi, un giorno, quando mi disse che per i malgasci i cani sono fady,
cioè tabù, intoccabili, paria. Siccome i fady variano da tribù a tribù, come
nel caso delle tartarughe, gli chiesi allora se c'era un'etnia per la quale i
cani non erano tabù, ma non seppe rispondermi.
Ovunque
andassi, nelle città come nei villaggi, nell'isola di Sainte Marie, al nord,
come a Tulear, nel sud, facevo fatica a socializzare con il più fedele amico
dell'uomo e solo con molta pazienza, senza fare movimenti bruschi, facendogli
vedere il pane da lontano, gettandone lentamente i pezzi a una distanza da essi
ritenuta di sicurezza, riuscivo a dar loro da mangiare. Nessuno si è mai
lasciato toccare, ma in alcuni rari casi, il pane, riufiutavano di mangiarlo,
segno che in realtà, un umano che si prendeva cura di loro, ce l'avevano.
Gli astanti, ovunque andassi, si fermavano a vedere il vazaha che compie l'ennesima stranezza, donne e bambini divertiti, uomini un po' meno. Non sono mancati nemmeno i passanti che si fermavano a rimproverarmi. A Ranomafana un vecchio si limitò a scuotere la testa, guardandomi con disapprovazione, e io non dissi niente. A Fianarantsoa due di loro in tempi diversi mi chiesero seccati perché non davo da mangiare ai poveri, anziché ai cani, ma siccome dell'antropocentrismo razzista, già sperimentato in patria, ne ho da anni le scatole piene e il popolo malgascio, tutto intero, specie nell'ultimo mese, mi aveva ulteriormente scassato i marroni, risposi in tono aspro che ai loro poveri ci pensassero loro, ché ai cani ci pensavo io. Poi aggiunsi che fa più scandalo, secondo me, veder circolare grossi macchinoni da cinquantamila euro l'uno e dal consumo di benzina esorbitante, donati dal Programma Alimentare Mondiale, o dall'UNICEF, o dalla F.A.O. piuttosto che vedere un bianco che nutre, per quanto possibile, creature reiette e innocenti. Uno dei due, un rasta dai capelli infeltriti, alla fine mi diede ragione e ci salutammo amichevolmente.
Gli astanti, ovunque andassi, si fermavano a vedere il vazaha che compie l'ennesima stranezza, donne e bambini divertiti, uomini un po' meno. Non sono mancati nemmeno i passanti che si fermavano a rimproverarmi. A Ranomafana un vecchio si limitò a scuotere la testa, guardandomi con disapprovazione, e io non dissi niente. A Fianarantsoa due di loro in tempi diversi mi chiesero seccati perché non davo da mangiare ai poveri, anziché ai cani, ma siccome dell'antropocentrismo razzista, già sperimentato in patria, ne ho da anni le scatole piene e il popolo malgascio, tutto intero, specie nell'ultimo mese, mi aveva ulteriormente scassato i marroni, risposi in tono aspro che ai loro poveri ci pensassero loro, ché ai cani ci pensavo io. Poi aggiunsi che fa più scandalo, secondo me, veder circolare grossi macchinoni da cinquantamila euro l'uno e dal consumo di benzina esorbitante, donati dal Programma Alimentare Mondiale, o dall'UNICEF, o dalla F.A.O. piuttosto che vedere un bianco che nutre, per quanto possibile, creature reiette e innocenti. Uno dei due, un rasta dai capelli infeltriti, alla fine mi diede ragione e ci salutammo amichevolmente.
"che ai loro poveri ci pensassero loro, ché ai cani ci pensavo io"
RispondiEliminache ridere...
Ma sono intervenuta per chiedere di chi è l'articolo che è apparso in fondo (ora è sparito) tra quelli "Ti potrebbero anche interessare" non c'è la firma è forse tuo?
http://freeanimals-freeanimals.blogspot.it/2011/11/danza-macabra.html
E' stato postato il 7/11/11 sono numeri magici.... ma riflettevo non ci saremo per caso fermati nel passato che cambiano i nomi, ma le cose sono sempre le stesse....?
E' mio!
EliminaInfatti, vedi che non ero ancora capace di mettere le foto?
Ero ancora alle prime armi.
Mi permetto di correggere la frase di Gandhi: il livello di "evoluzione " di un popolo si vede da come sono trattati i suoi animali ! Giada
RispondiEliminaImmagino che tra evoluzione e civiltà ci siano delle differenze....
EliminaNulla da obiettare.