martedì 12 novembre 2013

L'ombra della ghigliottina

 

Testo di Salvatore Antonaci

In pochi giorni, dall’inizio della rivolta bretone detta dei berretti rossi, il timore parigino di un contagio ai quattro angoli della République si è fatto palpabile nelle stanze del potere socialista quanto mai incapace di fronteggiare un’opposizione non certo inattesa. Da quando i manifestanti in collera hanno distrutto le barriere elettroniche e le postazioni radar allestite per dare corso alla nefasta ecotassa, altre regioni hanno, difatti, emulato i vendicatori delle libertà locali oppresse da una macchina esattoriale sempre più vorace ed implacabile. Di queste ore le notizie di mobilitazioni in Alsazia, dall’altro lato dell’esagono, ed il danneggiamento di alcune attrezzature di controllo nei dipartimenti del Nord (al confine del Belgio) e del Lot et Garonne, in Aquitania, nel sud-ovest. Quanto basta per affermare, insomma, che i peggiori timori della nomenclatura di governo si stanno avverando.


Si tratta di una insurrezione, per ora nonviolenta (ma la storia francese ci ha abituati a precedenti di tutt’altro segno) ed a carattere anti-fiscale: nel mirino di chi protesta sono finite oltre al pedaggio oneroso per l’autotrasporto anche l’innalzamento della TVA (l’IVA d’oltralpe) e gli altri numerosissimi balzelli escogitati da un regime coll’acqua alla gola.
Come ogni buon manuale di economia insegna, l’aumento delle tasse genera una panoplia di ricadute negative per l’economia che vanno dalla chiusura di molte attività produttive, alla disoccupazione dilagante e ad una drammatica diminuzione del potere d’acquisto. Esattamente quanto accade in Francia, dove i rigori della crisi finanziaria globale sono acuiti da un dirigismo statale che, dismessi per necessità i panni del tutore sollecito, mostra ora la faccia feroce dell’oppressione giacobina.
 
Sbaglieremmo, tuttavia, se sovrapponessimo questo movimento a quello dei teaparties americani: molte le analogie, ma numerose le differenze. Se l’obiettivo comune è quello di recidere l’artiglio della “bestia affamatrice”, qui abbiamo una matrice e delle rivendicazioni di carattere corporativo e protezionista poco evidenti oltre atlantico. La coalizione di interessi, quelli del mondo agricolo, innanzitutto, del trasporto, della piccola e media impresa anela, oltre alla riduzione del salasso anche ad un aiuto contro la concorrenza internazionale vista qui come la principale minaccia al prosieguo della produzione: di qui l’insofferenza crescente verso lo stato centrale considerato come la longa manus della onnipotente burocrazia europeista e della troika arci-mondialista.

                                                                                                                                                                  

Un cocktail esplosivo, come si vede, che apre la strada a scenari quanto mai incerti. La levata di scudi locale può preludere ad un rilancio in grande stile delle spinte centrifughe ed indipendentiste, come nel caso della stessa Bretagna, o fornire un ulteriore puntello all’ascesa irresistibile della destra nazionalista del FN. Non a caso Marine le Pen (qui a destra), peraltro di origini bretoni, è l’unica figura di spicco del panorama partitico ad aver appoggiato il sommovimento armoricano: palese il tentativo di pilotare la rabbia verso L’Eliseo e l’Assemblea Nazionale oltreché verso i partiti tradizionali, quel fascio UMP+PS colpevole di aver sottovalutato la voce della Francia “profonda”.

Nel frattempo, come un pugile alle corde tempestato da una gragnola di colpi devastanti, Monsieur le Président ha scelto il silenzio mandando al massacro i suoi uomini più fidati, primo tra tutti il Premier Jean Marc Ayrault. D’altronde, i sondaggi catastrofici di questo periodo (appena il 25% di gradimento, quasi dalle parti di Luigi XVI tanto per capire) impongono una sostanziale decurtazione al tradizionale presenzialismo mediatico del cittadino numero uno. Assume una valenza quasi simbolica il fatto che lo stesso Hollande abbia scelto, quasi ad esorcizzare la gravità del momento, di rivolgersi allo spirito dei caduti della grande guerra concentrando le proprie energie sulla commemorazione dei vincitori del 1918 nel tentativo di evocare i mani dell’ultima epoca eroica francese per sconfiggere i nemici e salvare la patria in pericolo. Solo il tempo (e nemmeno tanto) dirà se a prevalere saranno gli influssi di Valmy e della Marna e non piuttosto quelli delle due Sedan.

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