Durante
il mio primo viaggio in Madagascar, nel 2003, avevo fatto comprare dal nostro chauffeur
nove pappagallini in vendita al mercato di Ambohimahasoa, per poi scoprire che
gli erano state tagliate le penne remiganti e che quindi non potevano essere
liberati.
Quella
volta, i parrocchetti, dovemmo lasciarli al nostro autista, che forse se li è
rivenduti insieme alla gabbia, comprata in cambio della promessa che dopo
la muta delle penne ci avrebbe pensato lui a liberarli.
Tre
anni dopo, oltre alla pavonia di Foulpointe, in altre tre occasioni mi capitò
di liberare degli animali appena catturati e in due casi i loro catturatori non
la presero per niente bene, procurandomi una certa quantità di stress e facendo
aumentare in me, mio malgrado, l'odio per gli esseri umani in generale e per i
malgasci in particolare.
Ero
arrivato in Madagascar da appena una settimana e la mia buona disposizione
d'animo verso i malgasci era ancora intatta. Passeggiando fra le bancarelle del
Bazary Kely di Tamatave vidi un bimbetto di sei o sette anni che giocava con un
grosso coleottero marrone legato a una cordicella di nylon, a sua volta legata
alla punta di un bastoncino: un adulto della famiglia gli aveva predisposto
quella rudimentale canna da pesca.
Da
noi, molti anni fa, si prendevano i cervi volanti, li si sottoponeva allo
stesso trattamento (senza bastoncino) e li si faceva volare in tondo. In tal
modo si otteneva un aeroplanino, così come il bimbo di Tamatave aveva ricevuto
in dono come trastullo, una macchinina, una macchinina vivente piuttosto lenta.
Subito
si pensa al peggio e, sapendo come sono fatti i bambini, già mi vedevo i suoi
compagni di gioco contendersi il balocco e il delicato artropode finire
schiacciato. La madre del bimbo, lì presente, notò il mio interesse per
l'insetto e subito tolse di mano al figlio il bastoncino e rimase in attesa di
conoscere la mia mossa successiva. Che infatti arrivò puntuale, anzi
istantanea. Poiché il bambino mi guardava con un po' di soggezione ed era
rimasto improvvisamente senza il suo giocattolo, i cento ariary che avevo in
mano li diedi a lui, tra la soddisfazione divertita dei presenti, violando due
regole contemporaneamente: non si danno soldi ai bambini e non si comprano gli
animali selvatici. Purtroppo, nella concitazione imprevista del momento non si
ha tempo per pensare e avrei potuto cavarmela facilmente con il baratto, cioè
comprando un'automobilina di plastica e dandola al bambino in cambio del
coleottero.
In
quel momento, l'unica mia preoccupazione era di mettere in salvo la bestiola e
solo il giorno dopo, accompagnato da Lydie, una makurele di cui mi ero
invaghito, tornai al mercato e comprai due macchinine, una per suo figlio
Hirtine e una per il bambino del coleottero. Purtroppo, poiché ogni lasciata è
persa, non riuscii più a individuare la bancarella giusta, in quel labirinto di
banchi, banchetti e merce esposta tutta uguale.
Quando
ebbi in mano il bastoncino con la penzolante creatura, misi il tutto nello
zainetto e mi avviai verso il La Plage: lì chiesi aiuto a uno dei ragazzi della
reception, perché per togliere il filo di nylon legato tra l'addome e il
corsaletto c'era bisogno di due persone.
Benché agitasse freneticamente le
zampe, alla fine, adoperando le forbicine con molta delicatezza, riuscimmo a
togliere al coleottero la stretta imbracatura, così che potei andare a
liberarlo, non visto, in un folto di vegetazione sulla spiaggia, vicino alla
piscina.
Il 22 dicembre del 2006, successivamente agli episodi della farfalla e del coleottero, andai a fare una passeggiata da solo nella foresta spinosa alle spalle di Mangily. A poca distanza dalle ultime case del paese, sullo stesso sentiero sabbioso che stavo percorrendo, vidi venire verso di me un uomo e tre donne, una delle quali reggeva in mano un giovane riccio appallottolato. Mi fermai di botto e siccome il mio sguardo si appuntò sul piccolo insettivoro, la donna pensò bene di offrirmelo sperando di ricavare qualche soldo. Senza neanche pormi il problema di conoscere le sue intenzioni, e senza por tempo in mezzo, glielo tolsi di mano e, affinché il gesto non sembrasse troppo prepotente, appoggiai il riccio a terra e misi mano al portafoglio: erano pur sempre quattro contro uno, se mi fossi messo a correre probabilmente nessuno di loro mi avrebbe inseguito, ma cento o duecento ariary, il prezzo che di solito si lascia come mancia nei ristoranti, glieli avrei dati senza sentirmi troppo in colpa, pur venendo meno ai miei principi. Purtroppo, o per fortuna, non avevo banconote di piccolo taglio. Balbettai qualche scusa, ripresi in mano il riccio e mi avviai nella direzione opposta a quella da cui il gruppetto era arrivato.
Il 22 dicembre del 2006, successivamente agli episodi della farfalla e del coleottero, andai a fare una passeggiata da solo nella foresta spinosa alle spalle di Mangily. A poca distanza dalle ultime case del paese, sullo stesso sentiero sabbioso che stavo percorrendo, vidi venire verso di me un uomo e tre donne, una delle quali reggeva in mano un giovane riccio appallottolato. Mi fermai di botto e siccome il mio sguardo si appuntò sul piccolo insettivoro, la donna pensò bene di offrirmelo sperando di ricavare qualche soldo. Senza neanche pormi il problema di conoscere le sue intenzioni, e senza por tempo in mezzo, glielo tolsi di mano e, affinché il gesto non sembrasse troppo prepotente, appoggiai il riccio a terra e misi mano al portafoglio: erano pur sempre quattro contro uno, se mi fossi messo a correre probabilmente nessuno di loro mi avrebbe inseguito, ma cento o duecento ariary, il prezzo che di solito si lascia come mancia nei ristoranti, glieli avrei dati senza sentirmi troppo in colpa, pur venendo meno ai miei principi. Purtroppo, o per fortuna, non avevo banconote di piccolo taglio. Balbettai qualche scusa, ripresi in mano il riccio e mi avviai nella direzione opposta a quella da cui il gruppetto era arrivato.
Poiché
stavano andando in paese per i loro affari, non avevano tempo da perdere
e un riccio del peso di circa un etto non è una gran perdita. Né la donna
interessata, né gli altri tre suoi compari emisero alcun vocalizzo di protesta e
il riccetto, portato il più lontano possibile dal centro abitato, riguadagnò la
sua libertà. Lo deposi a terra in mezzo alla boscaglia e mi sedetti con la
schiena appoggiata a un baobab per godermi lo spettacolo.
Lui
mise fuori cautamente prima il muso appuntito e, convintosi che non c'era più
pericolo, riacquistò l'assetto da quadrupede camminatore e sgambettò via in un
attimo: ridare la libertà a un animale è una delle poche soddisfazioni genuine
della vita.
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