Nietzsche
diventò pazzo, o forse lo era già quando abbracciò il collo del cavallo
bastonato e si mise a piangere: io mi sentii male quando scappai con le sterne
inseguito dal guidatore di pousse pousse, ma feci piangere Tina. E mi sentii ancora più male qualche
giorno dopo, viaggiando di notte su un taxi-brousse alla volta di Tanà, quando, durante una sosta ad
Ambohimahasoa, sentii belare una pecora. Non riuscivo ad individuarne la
provenienza a causa dell'oscurità. C'erano altri taxi-brousse parcheggiati davanti all'osteria, da cui usciva un
po’ di chiarore. Anche Tina era scesa e si era messa a fare shopping tranquillamente, alla luce delle lampade a petrolio,
presso le bancarelle dall'altra parte della strada. Aguzzai la vista, alzai gli
occhi e, nella penombra, le vidi. Fu come una botta, un tuffo al cuore, come
quando al telegiornale si sente la notizia di qualche violenza sui bambini. Due
pecore erano state legate sul portapacchi di un pulmino bianco, dietro la
montagna di bagagli coperti dal telone. Una teneva la testa penzoloni oltre il
bordo, l'altra ce l'aveva ritta e di tanto in tanto emetteva la sua flebile
richiesta d'aiuto. Io mi sentii cadere addosso il peso dell'impotenza e rimasi
muto, impietrito. Gli altri passeggeri mangiavano nell'hotely, si sgranchivano le gambe o curiosavano fra i banchi
dei venditori come niente fosse.
Leonard
Hawksley, zoofilo inglese stabilitosi in Italia, che all'inizio del Novecento
ebbe otto attentati alla sua vita per essersi opposto alla crudeltà sugli
animali, sarebbe corso a liberarle, ma io non mi chiamo Leonard Hawksley e,
come la vecchietta piangente di Fianarantsoa mi aveva fatto sentire spietato e
crudele, le pecore di Ambohimahsoa mi hanno fatto sentire vile e meschino, cioè
praticamente una merda. Non era colpa delle pecore, naturalmente, ma
dell'arretratezza culturale dei malgasci e, di conseguenza, della mancanza di
leggi contro il maltrattamento di animali. In Italia abbiamo uno striminzito
articolo 727 del Codice Penale (e si potrebbe avere di più e di meglio), in
Madagascar, suppongo, niente di niente. Da noi al valico di Brogeda e di
Tarvisio la Guardia di Finanza ha sequestrato cagnolini stipati malamente
dentro i furgoni e i forestali spesso sequestrano uccelli protetti, in
Madagascar poliziotti e gendarmi sono impegnati unicamente a taglieggiare
quanti circolano sulle strade. Mirko, incontrato a Udine dopo il rientro in
patria, mi disse di aver fotografato alcune capre imbracate sul portapacchi del
taxi-brousse come le mie due
pecore, segno che il fenomeno è generalizzato.
Finché
portano biciclette e scooters sul
tetto dei pulmini, si può ammirarli per la loro bravura, ma qui stiamo parlando
di esseri viventi, capaci di soffrire, e anche polli, oche e tacchini devono
vedersela brutta, stipati e pur essi trasportati sul portapacchi per molte ore
di viaggio, sotto il sole e la pioggia, dentro i cesti di fibra vegetale. Al
pollame buttato per terra al mercato sotto il sole dei tropici, con le zampe legate,
non sono mai riuscito ad abituarmi, specie a quelli in attesa col loro
schiavista davanti alla porta di servizio dei ristoranti: da quella porta, da
un momento all'altro, uscirà il cuoco, che sceglierà le sue vittime.
Robinson
Crosue, nascosto dietro una duna, quando capì cosa stava per accadere a due
prigionieri sbarcati sulla spiaggia insieme ai loro carnefici, non ebbe dubbi.
E sparò sui cannibali, salvando quello che poi sarebbe diventato Venerdì.
Io
che so essere, soprattutto i vazaha, mandanti della quotidiana carneficina, grazie al principio che è la
domanda a creare l'offerta, a chi e con quali armi devo sparare?
Forse dovrei fare come i pionieri della zoofilia, come gli Hawsksley e gli Schweitzer, rimboccarmi le maniche e aprire una sede della Protezione Animali ad Ambohimahasoa, tentando di mitigare i feroci costumi dei malgasci. Probabilmente dovrei cercare, come un missionario, di far crescere quella chimera chiamata Civiltà, quell'araba fenice di cui tutti conoscono l'esistenza, ma che nessuno sa di preciso dove sia. Dovrei. Dovrei in definitiva cambiare il mondo (e ci sarebbe un'immensa mole di lavoro da fare) pur sapendo che, per la gente per bene, è da idioti volerlo cambiare.
Forse dovrei fare come i pionieri della zoofilia, come gli Hawsksley e gli Schweitzer, rimboccarmi le maniche e aprire una sede della Protezione Animali ad Ambohimahasoa, tentando di mitigare i feroci costumi dei malgasci. Probabilmente dovrei cercare, come un missionario, di far crescere quella chimera chiamata Civiltà, quell'araba fenice di cui tutti conoscono l'esistenza, ma che nessuno sa di preciso dove sia. Dovrei. Dovrei in definitiva cambiare il mondo (e ci sarebbe un'immensa mole di lavoro da fare) pur sapendo che, per la gente per bene, è da idioti volerlo cambiare.
Il
viaggio riprese, da Ambohimahasoa e, seduto scomodamente in fondo al taxi-brousse con a fianco Tina che cercava di dormire, a ogni
sussulto pensavo ai sobbalzi del pulmino bianco e alle scosse e alle botte e al
dolore da decubito delle due povere pecore. Tanto per gradire, attraversando un
centro abitato, improvvisamente la nostra vettura fece una frenata brusca,
scaraventandoci tutti avanti, e poi si sentì "TU-TUM", con un
sobbalzo, seguito immediatamente da un altro, "TU-TUM": mi voltai per
vedere attraverso il lunotto posteriore, nel buio della notte. Il pulmino
proseguì. Non vidi nulla. Non si sentì alcun guaito, ma io sapevo.
Tina
riprese a dormire. Quel viaggio allucinante non era ancora finito. Capita
spessissimo che i pulmini, a causa delle strade sconnesse e della scarsa
manutenzione, si guastino lungo la strada, costringendo i passeggeri a lunghe
attese. In quei casi scattano meccanismi di solidarietà e gli autisti degli
altri taxi-brousse si fermano per
prestare attrezzi o per dare un passaggio al guidatore che va in città a
comprare qualche pezzo di ricambio. Esattamente questo mi capitò il primo
dicembre sulla route nationale
numero cinque e per fare trecento chilometri impiegai tutta la giornata.
La
notte delle pecore, notte da tregenda per il mio sistema nervoso, nonché una
Caporetto per la stima che avevo di me stesso, andò in modo diverso. Quando il
nostro taxi-brousse rallentò
vidi, nel chiarore dei fari, attraverso il finestrino, ciò che non avrei mai
voluto vedere. "Piccinini, piccinini", esclamò Tina prendendomi per
un braccio. Quella era l'espressione che usavo quando incontravo animaletti di
ogni sorta, e lei me l'aveva sentita ripetere parecchie volte.
Anche
lei aveva visto il pulmino bianco adagiato su un fianco, nel fosso, con tutti i
passeggeri incolumi già scesi. Tutti tranne due, ancora imbracati sul
portapacchi. Il nostro taxi-brousse
si fermò un attimo a motore acceso, lo chauffeur parlò con qualcuno attraverso il finestrino, nessun
passeggero scese, Tina taceva, io toccavo il fondo della mia
infingardaggine.
Pregai
Dio di distruggere la razza umana, errore della creazione, il più presto
possibile, me compreso.
Ma
Dio non fa sbagli, né interviene a salvare due pecore legate a un portapacchi.
Mancava poco per arrivare a Tanà. Ormai albeggiava.
Belle foto... a parte il cane .. storie di animali sui tetti degli autobus e non solo di animali, nel senso che ci salivano anche le persone, le ho sentite raccontare anche dai miei genitori ai tempi della loro gioventù...più ancora dei nonni.. erano cose normali... beati loro... per fortuna qualcosa mi è toccato di quella vita li... quando ero una bambina, abitavamo in periferia, e mio padre aveva un Furgoncino Ape 50 e a volte mi portava con lui e io volevo stare nel cassone dietro ... e quando pioveva mi mettevo un telo di nylon addosso... era spassosissimo...
RispondiElimina......il regno scomparso dell'infanzia!
Elimina