Domani
parto per la brousse, quella
vera, dove la gente non ha corrente elettrica e sulle piste sabbiose passano
solo camion-brousse e rari
fuoristrada. Dove la gente, quando c’è carestia e non si trova manioca, mangia
cavallette per lunghi periodi. Dove le persone, in caso di omicidio, si mettono
d’accordo tra la famiglia dell’ucciso e quella dell’omicida, senza interpellare
la polizia, ma stabilendo un adeguato
numero di zebù come risarcimento. Già l’anno scorso, al mercato di
Besely Nord del martedì, avevo visto in vendita un pannellino fotovoltaico
tascabile, che mi aveva tentato come oggetto esotico. Lì, chi può permettersi
di comprarlo, lo usa per ricaricare i cellulari. Orange, come detto, arriva
ormai dappertutto, ma anche Telma si sta dando da fare collocando i propri
ripetitori fuori città. Quest’anno torno nelle stesse zone, dove Tina è nata e
ha la maggiore concentrazione di parenti, tra cui il nonno che ci ospiterà per
la terza volta, la prima nel 2009. Volendo saperne di più sui pannelli
fotovoltaici, siamo andati di fronte alla Bank of Africa di Tulear, sulla via
che porta al mercato di Sakamaha. Sulle bancarelle di materiale elettrico fanno
bella mostra di sé pannelli di diverse misure, di quelli adatti solo per i
cellulari, con spinotti di differenti qualità chiamati “rasta” perché
somigliano a una treccia, a quelli più grandi che permettono un’illuminazione
notturna come se si fosse collegati alla centrale elettrica.
A
me interessava poter usare il computer, visto che la sua batteria ha scarsa
autonomia. Per un pannello di piccole dimensioni mi sono stati chiesti 60.000
ariary, pari a 20 euro, ma non posso sapere se il prezzo sia corretto perché
con me viene immancabilmente praticato il vazaha-profit e se voglio pagare il giusto devo mandare Tina da
sola. In una bancarella però ci è stato mostrato il pannello avente una
superficie di circa 50 centimetri quadrati, la batteria che ne viene
alimentata, grande la metà di quella delle auto, e un trasformatore, un po’ più
grosso, con le prese di corrente utili per l’illuminazione e il computer.
Pesanti la batteria e il trasformatore, fragile il pannello. Considerato che
tutt’e tre i marchingegni andrebbero sul tetto del camion-brousse, stipati in mezzo a valigie, borse, sacchi di riso e
carbone, cassette di birra e bibite, biciclette e motorini, animali vivi in
gabbia e fuori, dal pollame alle capre, ho pensato di rinunciare, anche perché
stiamo via solo una settimana e i miei utenti spero siano pazienti e comprensivi.
Mentre
eravamo alle prese con il commerciante che ci spiegava il funzionamento del
pannello, poi, Tina si è ricordata che a Besely Nord c’è una donna panarivo, ricca, che ne ha uno grande sul tetto e che da lì
si può telefonare e avere corrente elettrica. Ho quindi desistito dall’acquisto
del fotovoltaico, per il quale mi erano stati chiesti 270.000 ariary, 84 euro,
che con un po’ di contrattazione potevano scendere a 250.000. Se dovessi
fermarmi nella brousse per lunghi
periodi, la faccenda sarebbe diversa e l’acquisto di uno strumento che usi le
energie naturali sarebbe altamente auspicabile. Per stavolta vado via così,
fidando nella compaesana ricca di Tina, che se non ho capito male gestisce una
specie di stazione di sosta del camion-brousse. E’ interessante notare che nel Terzo Mondo, a
differenza del primo, si fanno piccoli passi tecnologici nella direzione
giusta, verso le energie rinnovabili. Per una volta tanto dobbiamo ringraziare
i cinesi e il loro imperialismo commerciale.
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