mercoledì 27 agosto 2014

Fuga da Alikatraz


Se fossi un cane, come mia moglie ne è convinta, cercherei di scappare dal Madagascar, ma ovunque scappassi alla fine incontrerei il mare. E allora, in questa immensa prigione a cielo aperto che è la Grande Isola, piccolo cortile del più vasto pianeta Terra, non ci resta altro, a noi cani a due e a quattro gambe, che tirare alla fine della giornata cercando di farci fare meno male possibile dai Kapò aguzzini che si credono padroni. I quali, basta che gli metti un famaki ben affilato in mano, un’accetta da boscaiolo, e si credono dei padreterni. Martedì pomeriggio, mentre maturavo la consapevolezza che non sarei riuscito a collegarmi a internet per spurgare terapeuticamente le mie frustrazioni di straniero in terra straniera, sono arrivati i parenti da Koritsiky, tra cui la madre naturale di Tina. Tutti Tanalana. E c’era un elemento in più di fronte alla casa di Fanolihany: un omby legato a un albero di samata. Tina mi ha detto che ogni villaggio ne porta il più possibile per macellarli durante la festa di venerdì 22 agosto, chiamata Hasomanga, che si tiene ogni anno presso Marolinta. I Tanalana di Koritsiky, il loro, lo avevano legato proprio davanti ai miei occhi. Così, aspettando di sentire i suoi muggiti tutta la notte, notte insonne e amara, ho cercato di spiegare a Tina la differenza tra dolore fisico e dolore morale e, inaspettatamente, Tina l’ha capita. A poco mi serviva pensare che lui, lo zebù da sacrificare alla ferocia umana, non fosse consapevole di ciò che lo aspettava di lì a due giorni. Io lo sapevo e soffrivo nel vederlo così placido a masticare le ramaglie che gli avevano messo a disposizione. Non potevo fare a meno di pensare al freddo acciaio che avrebbe posto fine alla sua vita di prigioniero della Grande Prigione.


L’arrivo dell’omby ha contribuito alla decisione di partire un giorno prima da Besely Nord, mercoledì anziché giovedì, ma, incredibilmente, a testimonianza del fatto che i malgasci se vogliono sanno anche essere gentili, la mattina di mercoledì lo zebù non era più al suo posto. Chieste spiegazioni a Tina, mi è stato risposto che i suoi parenti, a cui lei aveva spiegato le “fisime” di suo marito, lo avevano parcheggiato da un’altra parte del villaggio, affinché io non mi ammalassi. Ha usato proprio questa parola. Evidentemente, anche il selvaggio più selvaggio ha un minimo di empatia, se non verso le bestie, almeno verso le superbestie che sono i vazaha. Succede raramente che i malgasci si immedesimino nella psicologia di noi bianchi, anche se io non sono rappresentativo della categoria.

Mercoledì 20 agosto Tina ha trovato un carretto, guidato da Toetra, papà di Odillon e Sammy. Prezzo pattuito 15.000 ariary, 5 euro. Chilometri da percorrere circa 15, o forse 18, su pista sabbiosa. Destinazione: Itampolo. Cinque anni fa l’avevo già fatta tutta a piedi ed ero arrivato quasi morto. Ero dunque un po’ preoccupato perché sono entrato da un pezzo nell’età dell’infarto e anche se siamo in inverno il caldo e la fatica sono uguali. Dunque, davo per scontato che un pezzo di strada l’avrei fatto a bordo del rustico mezzo, venendo meno ai miei principi, perché a un certo punto, quando è questione di sopravvivenza, scatta il “gene egoista” di cui parla Vito Mancuso e i principi possono anche andare a farsi benedire.





E’ stato così che fino a mezzogiorno ho camminato a piedi, a fianco, dietro o davanti alla carretta, scambiando saluti con i rari viandanti che incrociavo, ma dopo la sosta presso un mercato, dove gli zebù hanno mangiato le pale dei fichi d’India che Toetra aveva raccolto lungo la strada, sono salito a bordo e ogni frustata data ai due omby era una frustata che io stesso davo loro, con il mio peso. Mancavano approssimativamente cinque Km a Itampolo.





Tuttavia, dopo tre Km sono saltato a terra ed è stato di lì a poco che mi sono accorto che uno dei due, non a caso quello nero, ansimava vistosamente. E a quel punto è successa una cosa interessante. Ho chiesto al conducente se gli si poteva dare da bere e Tina non solo mi aveva già passato una bottiglia d’acqua, ma si accingeva a recuperare una piccola pentola in mezzo ai nostri bagagli, da usarsi come contenitore. Toetra ha detto che non serviva e che gli omby avrebbero bevuto una volta arrivati a destinazione, presso un pozzo fuori Itampolo. La cosa rimarchevole è che la pentola in cui eventualmente avrebbe bevuto lo zebù non sarebbe diventata fady come succede con i piatti o le bacinelle con cui offro pane e latte ai cani, perché nella cultura malgascia i cani sono sporchi, mentre gli zebù sono sacri e puliti. Ne deriva che, in quanto sacri vengono sfruttati nei campi e come mezzo di locomozione, oltre che macellati, mentre i cani, visti come competitori per il cibo e parassiti, se la passavo proprio male e tutto ciò che entra in contatto con loro diventa contaminato. Noi zoofili, cinofili e animalisti l’abbiamo davvero dura con questa gente!  

Arrivati al Sud Sud, di proprietà del francese Alain, che gestisce anche un altro ristorante a Tulear e per questa ragione non è mai a Itampolo, Toetra ha deciso di ritornare subito indietro, visto che erano solo le tre del pomeriggio, anziché fermarsi a dormire nel villaggio onde evitare il rischio di fare brutti incontri, con il buio, durante il tragitto. Se questo era favorevole per lui, non lo era per i due omby, già stanchi per i 15 (o 18?) Km che avevano già fatto. Anziché 15.000 ariary ho detto a Tina di dargliene 20.000, comprensivi di mancia, e posso immaginare che la maggior parte di quei soldi gli serviranno per comprare rhum Telma, molto apprezzato nella brousse. Del resto, sono affari suoi. Se la vita di omby e alika è un inferno, quella dei gasy è di poco migliore. Una doccia con acqua fredda, e un gabinetto tutto a mia disposizione, hanno fatto di me, dopo una sgroppata di 15 Km (o erano 18?) sotto il sole tropicale, l’uomo più felice del Madagascar. Tina invece mugugnava perché voleva stare con la sua famiglia, ma per una volta tanto – ubi major, minor cessat – ha scelto di stare con il suo marito alika. Il suo bizzarro marito cane.

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