domenica 10 agosto 2014

Quando inferno e paradiso entrano in cortocircuito



Presso Chez Alban, che ora si chiama Maroloko, letteralmente “molti colori”, non siamo andati perché non si sa mai che la padrona voglia rivangare il passato, di quando in particolare, una notte, le ho liberato un pollo sultano che aveva comprato come giocattolo per il figlio, e che ho portato in una macchia di vegetazione poco distante. Tina dice che sia la padrona malgascia che il custode dell’epoca sanno che sono stato io, quello strano vazaha italiano che oltre a non mangiare aragoste va di notte a liberare uccelli legati alle zampe con cordicelle. Tina dice che la cosa li ha sempre fatti ridere piuttosto che adirare. Meglio così.


Quindi, appena arrivati a Mangily, di cui qui vediamo la via principale, siamo andati direttamente Chez Daniel e Léontine, dove era già stata nel gennaio scorso, nelle vesti di guida turistica, con il suo primo, fallimentare, cliente. Ho scelto di slancio il bungalow che dà sulla spiaggia, anche se costava 45.000 ariary (15 euro), mentre quelli più in alto sulla duna, che non hanno la visuale sul mare, costano 30.000 (10 euro). Le massaggiatrici e le venditrici di pareo imperversano qui come altrove nelle località balneari, ma una volta capito che non sono interessato né ai massaggi, né ai parei da spiaggia, mi hanno lasciato in pace. Abbiamo saputo che Daniel, il vazaha francese che ha costruito questo piccolo angolo di paradiso, è venuto a mancare due mesi fa e la sua salma è stata portata in Francia, dove probabilmente ha figli grandi. Qui rimane la vedova malgascia che deve ringraziare Zanahary per aver incontrato uno straniero che le ha cambiato la vita. Daniel aveva circa settanta anni. 

Vicino al nostro bungalow che si può vedere qui, c’è una baracca gestita da due giovani francesi: offrono escursioni in mare per vedere da vicino le balene e devo dire che ero tentato di provare, anche perché pare che questa sia la stagione giusta per vederle. Con 50.000 ariary (17 euro) ci avrebbero portati entrambi, me e Tina. Tuttavia, ero venuto a Mangily per vedere lo stato della foresta spinosa, poiché mia moglie mi aveva detto che fra Karana panarivo (ricchi) e vazaha altrettanto se non più ricchi, la foresta è stata in gran parte lottizzata e venduta per costruirvi ville private. Se, come ho già spiegato, Mangily sta diventando un villaggio moderno con molte più merci di una volta, come contraltare c’è purtroppo la devastazione subita dall’ambiente naturale retrostante, di cui parlerò nel prossimo articolo.


Qui intanto mi preme evidenziare che con una vista mare come questa si capisce che per un normale turista sia un posto davvero rilassante, venditrici di massaggi e di pareo a parte. Ai ragazzi spetta però il compito di percorrere su e giù la spiaggia approcciando i vazaha e offrendo loro piccoli oggetti di legno, frutto di artigianato locale. Anche in quel caso, chiarito che non siete interessati, la seconda volta che v’incrociano non v’importunano più. E il relax diventa fattibile.

La sera i tramonti sono davvero belli, un vero spettacolo, ovviamente solo per noi stranieri che non vi siamo abituati. A forza di vedere la bellezza, gli indigeni non ci fanno più caso. Anche un altro aspetto va messo in evidenza: quando c’è bassa marea gruppetti di bambini s’inoltrano sulla sabbia armati di bastoni, per cercare facili prede. Mi è capitato infatti di assistere da lontano all’uccisione di due piccole murene, rimaste intrappolate in qualche pozza. Li ho visti colpire ripetutamente quei pesci a forma di anguilla, sbattendoli anche sull’umida sabbia fangosa. Essendo figli di pescatori per loro è del tutto normale. Per noi animalisti valgono altri parametri.
L’importante è trovare il giusto mezzo: capire, senza giustificare, il contesto in cui si verificano certi comportamenti e rimanere saldi nei propri principi di nonviolenza e di rispetto per la vita. Il Madagascar, sotto questo aspetto, è una vera scuola.

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