Non
è facile fotografare i poliziotti, perché come minimo, se se ne accorgono,
chiedono di far prendere luce al rullino o di cancellare la foto in caso di
apparecchio digitale. Oppure, se si è fortunati, di pagare un pedaggio. Indi
per cui, sto bene attento non solo a non puntargli contro la macchina
fotografica, ma a passare inosservato il più possibile, in virtù del
suggerimento dato da Nietzsche quando disse che se si comincia a guardare
l’Abisso, l’Abisso comincia a guardare te. E dunque, questo articolo non potrà
mostrare la faccia tosta del poliziotto che mi ha fermato ieri 6 agosto, mentre
io e Tina facevamo una passeggiata nella strada di Tulear dove si concentrano i
venditori di prodotti per ombiasy.
Qui, di tali prodotti, pubblico una sola foto, perché il tema della
stregoneria, che mi acchiappa assai, va trattato a parte con più di un
articolo. Tuttavia, la storia del mio incontro di ieri, con due poliziotti
dalla faccia burbera, sul marciapiede antistante un venditore di tale interessantissima
merce, vale la pena di essere raccontata, perché a fermarmi è stato lo stesso
str……ano poliziotto che mi aveva “arrestato” sei anni fa, mentre da Ankilibe mi
dirigevo verso la città.
Sei
anni fa andò così. Nel 2008 eravamo in affitto in uno dei bungalow di Madame
Fanja. Eravamo ciascuno su due biciclette diverse e avevamo percorso quasi
tutti i dodici Km che separano Ankilibe, letteralmente “Al grande tamarindo”,
da Tulear e nel posto di blocco fisso dall’altra parte del distributore di benzina,
mi ferma il poliziotto di ieri. Mi chiede il passaporto e mi accorgo di averlo
lasciato nel bungalow.
“L’ho
dimenticato, mi dispiace”, gli dico candidamente.
“Non
è la risposta corretta, monsieur”, mi risponde baldanzoso.
M’invita
a seguirlo in uno sgabuzzino disadorno poco distante e mi fa capire che con un
piccolo cadeau mi avrebbe
lasciato andare. Con la faccia più ingenua che mi riesce, gli mostro la vecchia
sgualcita patente di guida, sapendo che mi stava facendo koly koly, per il quale esiste addirittura un ufficio
governativo apposito, che fa la fine delle grida manzoniane, chiamato BIANCO: Bureau
Anti Corruption. Nel frattempo Tina
si era fermata e stava diventando nervosa. La sento che alza la voce con il
poliziotto, il quale dà un ordine secco e un pick-up si ferma presso di noi. Le
due bici vengono caricate nel cassone e noi saliamo dietro. Ci portano al
commissariato della polizia divisionaria (traduco così dal francese anche se
non è appropriato). Durante il percorso telefono ad Aimone, colui che
tre anni dopo sarebbe diventato il mio testimone di nozze e Tina telefona a
Fanja spiegandole dove si trovava il mio passaporto. Grazie alle seconde
chiavi, la nostra padrona di casa lo recupera e con il quad ci raggiunge in un
battibaleno. Anche Aimone e la sua compagna Ivette sono in questura dopo poco
tempo, perché fra connazionali in Madagascar ci si aiuta.
Il
comandante in capo, che sedeva ieratico in un ufficio semibuio, ascolta
sorridendo Madame Fanja, si limita a farmi la predica, dicendomi di stare più
attento la prossima volta e mi lascia andare. Senza neanche un centesimo di
penalità.
Ieri
mi ricapita lo str……ano poliziotto di sei anni fa. Per nulla invecchiato. Gli
do la fotocopia del passaporto completa di visto. Con la stessa sicumera di sei
anni prima mi dice che non è in regola perché manca la vidimazione della
questura. Gli rispondo con un groppo in gola che erano stati i suoi colleghi di
Majanga, un mese prima, a dirmi di fare la fotocopia e di non andare in giro
con il passaporto originale, perché in caso di furto sono dolori. Ovviamente,
la giustificazione non gli basta e sembra intenzionato a portarci di nuovo,
come sei anni prima, in questura. Tina si mette a discutere, ma stavolta senza
alzare la voce. Mente dicendogli di essere la sorella di Fanja, con la quale
invece ha litigato e che non si trova più neanche in Madagascar, ma nell’isola
di Reunion. Il poliziotto le risponde: “Perché non me l’avete detto prima? Io
ho grande rispetto di Madame Fanja e di suo marito Monsieur Bernard. Per questa
volta andate, ma vi aspettiamo domani mattina dopo le nove per mettere timbro e
firma sulla fotocopia”. Il tutto, sotto lo sguardo dei passanti e dei
commercianti di mercanzia per stregoni, è durato cinque minuti buoni e confesso
che durante quel tempo mi tremavano le gambe. Speravo che nessuno se ne
accorgesse, ma Tina ha visto che avevo la faccia tirata. Non mi piacciono i
poliziotti italiani, figuriamoci quelli malgasci, che se ne vanno in giro per
la città a cercare stranieri da cogliere in difetto.
La
mattina dopo io e Tina abbiamo discusso se fosse il caso che mi presentassi
anch’io con il passaporto originale o se non fosse preferibile che andasse lei
sola con la fotocopia. Abbiamo optato per la seconda possibilità e la mia
attesa nei vicini giardinetti è durata pochissimo. A mettere timbro, data e
firma è stato l’altro poliziotto, quello che era rimasto sempre zitto. Lo
str…..ano non si è fatto vedere.
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