Melania
e Andrea potrebbero andare a Mangily via mare con la loro lakana, ma finché non impareranno a manovrare bene
quell’imbarcazione a bilanciere tipica delle coste del Madagascar, avranno
bisogno di almeno due piroghieri che ve li portino. Così, quando si sentono in
forze e hanno bisogno di frutta e verdura preferiscono fare 8 Km a piedi sulla
spiaggia, da Beravy, piuttosto che 17 con taxi brousse fino a Tulear. Il motivo è che per andare in città
devono aspettare davanti casa che passi qualche mezzo pubblico, pick up o camion brousse che sia, mentre per ritornare a Beravy devono
affrontare le forche caudine della gare routiere di Tsokobory, dove i panera, i procacciatori di passeggeri, si contendono i
viaggiatori che arrivano in taxi o con il ciclo pousse con una certa rudezza, accaparrandosi i bagagli e
arrivando a tirare letteralmente le persone in arrivo ognuno verso il proprio taxi
brousse, il quale non parte finché
non è completo, ovvero finché l’autista non decide che è sovraffollato al punto
giusto.
Una parte di responsabilità di questa situazione, cioè dell’aumentata
aggressività dei panera rispetto
agli anni scorsi, va attribuita alle pattuglie della polizia e della
gendarmeria che bloccano cinque volte, all’uscita da Tulear e nel breve spazio
di qualche chilometro, i mezzi
pubblici, per estorcere denaro agli autisti. I quali devono giustamente far
quadrare i conti e riempire il più possibile il proprio mezzo perché una parte
dell’incasso va ai parassiti in divisa che, come ragni in mezzo alla ragnatela,
aspettano le persone oneste che lavorano, standosene comodamente seduti
all’ombra di qualche albero. Ingenuamente, mi viene a volte da pensare che il
nuovo presidente Hery dovrebbe fare qualcosa per abolire il deleterio koly
koly, fucilando alla schiena tutti i
maledetti poliziotti corrotti, ma poi realisticamente penso che il primo ad
essere fucilato dovrebbe essere lui, il capo supremo di tutti i parassiti
corrotti che, in Madagascar come da noi, ingannano il popolo e lo sfruttano
economicamente.
Andrea Spagnuolo, 42enne di origini calabresi ma per lungo tempo vissuto a
Carmagnola in provincia di Torino, è riuscito a fare una cosa che io non ho mai
avuto il coraggio di fare: ha fatto una foto a un poliziotto che gli aveva
appena richiesto del denaro. Il parassita ovviamente si è arrabbiato e gli ha
chiesto di cancellarla, ma Andrea è stato velocissimo a cambiare immagine e a
mostrargli quella di alcuni omby
che pascolavano lì vicino e che aveva fotografato poco prima. Il parassita ha
lasciato perdere imprecando, ma Andrea e Melania Conte, 34enne antropologa vissuta
in diverse parti d’Europa ma che si sente marchigiana, in quell’occasione
rimasero un’ora e mezza bloccati sotto il sole perché non volevano pagare il
pizzo, con gli sbirri che sghignazzavano e facevano a chi si arrende per primo.
Alla fine, si sono arresi loro e li hanno lasciati andare. Un encomio per il
coraggio di Andrea e un plauso alla determinazione di entrambi. Da quella volta
la coppia usa i mezzi pubblici per spostarsi, non avendo e non volendo avere
un’auto propria. Quando io e Tina siamo andati a trovarli giovedì 28 agosto
erano due settimane che non andavano in città a procurarsi viveri e la verdura
fresca che abbiamo portato loro è stata molto gradita.
Ciò
che mangiano è strettamente connesso alla loro filosofia e al loro stile di
vita: stanno predisponendo un orto tra l’abitazione e la strada e la prima cosa
che viene in mente è che, una volta che la generosa natura darà i suoi frutti,
dovranno fare i conti con due nemici: i ladri umani e le caprette voraci e
incolpevoli, benché ladre pure loro. Abbiamo al riguardo fatto una specie di
scommessa. Vedremo fra un anno quanti dei loro pomodori saranno riusciti a
mangiare sottraendoli ai ladruncoli a due e a quattro gambe.
Va detto ancora che purtroppo Andrea è pescatore e quindi lui e la sua compagna
mangiano pesce e frutti di mare. Egli va non solo con i malgasci a caccia di
polpi, quando non fa snorkelling
per diletto, ma se gli capita di ritornare al paesello nativo in Calabria va
anche alla pesca del pescespada con la fiocina e quando me lo raccontava c’era
un tono d’orgoglio nella sua voce. Lì dalle sue parti lo fanno dall’epoca dei
Fenici e nel mondo ci sono in tutto sei posti dove si pratica quel tipo di
pesca. I calabresi di quel villaggio quindi, come i Vezo, basano la loro vita
sulla pesca e in particolare su quella del pescespada. (In foto un tonno pinne
gialle che ho fotografato nella stazione dei taxi brousse mentre aspettavo di
partire per Beravy). Siccome è la domanda che crea l’offerta, è ovvio che se la
gente smettesse di comprare pescespada, i calabresi compaesani di Andrea
sarebbero disoccupati e magari migrerebbero in Madagascar a pescare polpi.
Qui
già gli specisti entrano in fibrillazione, a leggere queste parole, perché
siamo stati tutti abituati a pensare in termini antropocentrici, a causa della
maledetta Bibbia e degli altri testi cosiddetti sacri, ma ragionando
razionalmente e considerando la natura angelica dell’uomo, si deve onestamente
ammettere, scrollandosi di dosso le autogiustificazioni vigliacche e
sovrastrutturali, che l’essere umano ha la capacità di adattarsi e di evolversi
spiritualmente, mentre pescispada e polpi non possono farlo e alla fine tutto
si riduce a un problema aritmetico: quando il numero totale di polpi e
pescispada è terminato, non ce ne saranno più né degli uni, né degli altri. E
allora il virus umano di matrixiana memoria dovrà rivolgere la propria
cupidigia verso altre specie, finché non porterà ad estinzione pure quelle. Se
immaginiamo che nell’universo ci siano razze aliene che invadono i pianeti
sistematicamente fino al completo sfruttamento delle risorse e poi se ne vanno
a bordo delle loro astronavi alla ricerca di altri pianeti da sfruttare, ebbene
noi siamo una di quelle razze.
Prima
che gli ecostemi terrestri collassino magari ci sarà qualcuno di questi
parassiti cosmici che lascerà la Terra, ma di sicuro non ci sarà posto sulle
navi spaziali per i 17 milioni di malgasci che fanno la loro parte, vuoi per
fame vuoi per lucro. E allora, nell’universo ci sarà un pianeta in più che una
volta era fertile e lussureggiante, arrivato a quello stato in milioni d’anni,
reso però inabitabile in trecento anni circa da una specie impazzita, malata o
forse contagiata e guidata essa pure da parassiti extraterrestri.
Tanto per restare in tema, a Melania, facendo una passeggiata sulla spiaggia di
Beravy, è capitato di vedere due donne intente ad eviscerare una montagnola di
oloturie appena pescate dai loro mariti. Chiesto loro informazioni sui prezzi,
le donne hanno risposto che i cinesi gliele comprano a 3.000 ariary al Kg. (un
euro). Facendo una ricerchina su internet, Melania ha poi scoperto che i cinesi
rivendono in patria quella carne prelibata a 1.000 euro al Kg. Questo è un
business pazzesco, se ci pensate bene, e non ci dobbiamo meravigliare quando
sentiamo parlare di miliardari cinesi. Andrea ha aggiunto che le oloturie
svolgono l’importante funzione di depurare il mare. Meno oloturie significa più
colibatteri fecali e mare sporco non balenabile. Risultato, i turisti scappano,
l’industria pertinente va in crisi, ma ai miliardari cinesi, commercianti di
oloturie, non può fregare di meno. Il presidente Ravalomanana aveva venduto un
terzo delle terre coltivabili alla Corea; quello attuale fa la stessa cosa con
la Cina e non solo per quanto riguarda le oloturie o le pinne di squalo, ma
anche con il cotone e, non ultimi, i lavori di asfaltatura dei 27 Km che
separano Tulear da Mangily. Al riguardo mi sono meravigliato che l’appalto non
sia stato dato ai francesi o meglio ancora agli italiani, famosi per la
costruzione di strade nel mondo, ma Andrea ha suggerito che anche in quel caso
ci sia stato movimento di tangenti ad alti livelli. Un altro motivo per
fucilare alla schiena presidenti, ministri e viceministri perché il pesce, come
Andrea pescatore sa benissimo, comincia a puzzare dalla testa.
Ad Andrea e Melania, però, che considero amici e che ho invitato ad
Ambolanahomy per ricambiare il pranzo che ci hanno offerto giovedì, ho un’altra
critica amichevole da rivolgere: la contraddizione tipica degli ecologisti.
Posto che nessuno è perfetto e che anch’io non posso considerami esente da
contraddizioni, va rilevato che se da un lato salvano le tartarughe che
finirebbero negli stomaci dei Vezo, dall’altro non si astengono dal mangiare
molluschi cefalopodi che sono molto più intelligenti delle tartarughe, né pesci
che sono molto più belli e altrettanto dotati di sistema nervoso dei rettili
chelonidi. Se il criterio è quello dell’estinzione e le Testudo radiata che loro salvano possono realmente scomparire del
tutto, che ne sappiamo, sfruttato com’è il fondale marino, se i bellissimi
pesci tropicali che da noi vegetano negli acquari e qui sono messi in vendita
sulle bancarelle, non siano anch’essi in pericolo d’estinzione?
Quando
ci si preoccupa – giustamente – della scomparsa delle utili oloturie in quanto
depuratori del mare, lo si fa sulla base di un ragionamento antropocentrico,
come se il mare dovesse rimanere pulito dalle nostre sozzure per noi che ne
siamo gli utenti, pescatori o bagnanti indifferentemente. Ma spostando il
ragionamento su una base biocentrica e ammettendo di essere solo una delle
tante specie che vivono sul Pianeta, si dovrebbe arrivare ad ammettere
onestamente che il mare e le sue creature hanno diritto all’inviolabilità per
la loro natura intrinseca e non in funzione nostra, solo perché i libri sedicenti
sacri, che noi stessi abbiamo scritto, chiamano in causa un’inesistente
divinità, come autorità suprema, a donarci risorse che non ci appartengono.
In un’altra occasione, come vediamo qui in una sua foto, a Melania è capitato di trovare alcuni
carapaci spaccati a colpi di coltello, come fossero ostriche o vongole, e anche
in questo caso è un problema di percezione: per il malgascio è sakafo, cibo, come tutto il resto, per noi la tartaruga è
un fenomeno biologico pregevole da salvaguardare, per alcuni anche rivestito di
sacralità. Ma noi siamo frutto dell’Occidente e della nostra epoca. Qui invece
viviamo in altre epoche e ad altre latitudini. Quando la cultura e l’educazione
sono diverse, anche la percezione delle cose cambia e pure tra me e la coppia
dei nostri connazionali ecologisti ci sono differenze di vedute, anche se tutti
e tre abbiamo fatto le elementari in Italia. Andrea mi chiedeva di fargli
sapere se c’è qualche associazione che voglia prendersi cura delle 17
tartarughe che hanno in giardino e delle altre che eventualmente riuscissero a
salvare dalle grinfie dei nativi. Io al momento non ne conosco nessuna, ma mi
sono accorto del pericolo che la raccolta di tartarughe nasconde. E cioè che i
ragazzini vadano appositamente a caccia di tartarughe da portare ad Andrea e
Melania in cambio di qualche spicciolo. E’ il solito problema delle domanda che
crea l’offerta. Un vero rompicapo, un circolo vizioso difficile da spezzare,
solo che qui ci vanno di mezzo delle creature innocenti, vittime dell’istinto
predatorio da una parte e delle nostre lodevoli premure dall’altra, in virtù
del principio che vuole l’inferno lastricato di buone intenzioni.
Andrea
e Melania, come me del resto, fanno quello che possono, in difesa più di un
ideale di bellezza naturale che della natura in concreto. Ma intanto si stanno
costruendo un gradevole nido d’amore, con tanto di pannello fotovoltaico sul
tetto, costato 550.000 ariary, 170 euro. Hanno così la corrente elettrica
giorno e notte, alimentando anche il computer che per Andrea, in quanto
informatico, è
strumento di lavoro “da remoto” e per Melania è altrettanto utile in quanto
traduttrice delle principali lingue europee. I quattro bungalow sono al momento
al grezzo e le prossime spese da affrontare saranno lo chateaux d’eau e il frigo, con i quali Andrea e Melania potranno
sistemare la parte idraulica dei bagni e mettere a disposizione degli eventuali
turisti e visitatori birra ghiacciata come Dio comanda. Il forno c’è già e la
pizza, una volta fatta la debita pubblicità, fungerà da magnete per le migliaia
di appassionati della famosa focaccia di origini napoletane. Del resto,
biscotti, focaccine e sformato di patate, che ci sono stati offerti giovedì,
Melania li sa già fare benissimo. Se poi si prenderanno anche Tina come cuoca,
come io ho proposto loro, si potrà cominciare a parlare di ristorante vero e
proprio, anche se l’idea che i due ragazzi hanno al momento è più indirizzata a
rivalutare un dispensario di Beravy, ora chiuso, e ad organizzare qualche
progetto in difesa delle tartarughe, terrestri o marine che siano e i bungalow,
con annessa cucina, servirebbero in tal caso per gli ospiti più che per veri e
propri clienti di ristorante mordi e fuggi.
Insomma, a Beravy ci sono due giovani entusiasti e pieni di belle idee, con
grandi potenzialità. Se qualcuno li vuole contattare, specie per aiutarli in
qualche modo a salvare le tartarughe, li può trovare su Facebook. Se poi li si
vuole andare anche a trovare, mettendosi d’accordo sui prezzi, le strutture ricettive
ci sono, benché da completare nella parte idraulica, e magari ci scappa anche
una gita in lakana, fotografata
qui da Andrea e Melania, a vedere da vicino le mangrovie.
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