Come
la prima parola che i bambini malgasci imparano non è “mamma”, ma vazaha, così la prima parola malgascia che ho imparato io è
stata abakao, dammi. Me la sono
sentita rivolgere da Tina migliaia di volte, ormai, sia che si trattasse di fare
la spesa, com’è ovvio, sia che i soldi le servissero per altri usi. Se ora che
siamo sposati Tina dovesse rivolgersi ai genitori adottivi per un aiuto
economico, le direbbero: “Hai un marito, fatti mantenere da lui!”. Ma prima del
giro di boa del febbraio 2011, in cui ci siamo sposati, quando Tina si
rivolgeva loro per un aiuto economico, le dicevano: “Stai frequentando un vazaha, vedi di farti mantenere da lui”. Forse, l’unico
periodo della sua vita in cui non aveva problemi di soldi ed era relativamente
felice, fu prima di conoscermi. Poi, è cominciata la scalata ai beni materiali,
o sarebbe meglio dire la discesa agli inferi, di cui non si vede ancora il
fondo. Tuttavia, nonostante nei periodi in cui sono in Italia io non le mandi
soldi, perché così mi sono imposto di fare, Tina non è del tutto abbandonata a
se stessa. Anzi, ho notato che nel terreno di proprietà di madame Nohay, qui in
foto, la casetta dove abbiamo abitato in affitto nel 2008 è stata demolita e al
suo posto sono sorte ben quattro abitazioni: quella concessa a Tina per suo uso
personale, quella in cui vive il fratellastro Zainoly e, adiacente, quella data
in affitto, tutte in muratura, più un’altra in lamiera, anch’essa da dare in
affitto. Si chiama business e madame Nohay, evidentemente ci sa fare.
Dopo
qualche giorno che ci eravamo trasferiti nella casa di Tina, stavolta senza che
venissi obbligato a pagare l’affitto come nel 2008, madame Nohay ha mandato due
uomini a rifare il recinto. Sono stati tolti i fusti contorti dell'albero di katrafay che vengono abitualmente
usati a questo scopo e sostituiti in parte con barili di petrolio tagliati su
un lato, aperti e appiattiti, e in parte da lamiere ondulate comprate
appositamente in ferramenta. Si tratta di un salto di qualità, di un
avanzamento nella scala sociale. Perché ha aspettato che io e Tina venissimo ad
abitare qui per fare questi cambiamenti? Si tratta di una manifestazione di
ospitalità da parte della vecchia signora o c’è dietro un tranello? Con i
malgasci non si può mai essere sicuri di niente. Potrebbe farsi avanti e
chiedermi di pagare le spese. Per ora mi limito a fornire il pranzo ai due
operai, i quali non evitano di colpire le lamiere inchiodandole a robusti pali
anche in quelle ore canoniche che sarebbero destinate al riposo pomeridiano.
Dalle nostre parti non gli permetterebbero di fare tutto quel baccano all’una
di pomeriggio e chiamerebbero subito i carabinieri. Ma qui si può.
Che
ci sia poco da stare tranquilli con madame Nohay, con cui Tina litiga un anno
sì e un anno no, lo deduco dal fatto che siccome gli inquilini che abitavano
nella casa di lamiera se ne sono andati senza pagare le bollette Jirama,
l’azienda idroelettrica di Stato, Tina ha chiesto a me di pagarle. Le ho
risposto che ero qui da tre giorni e mi stava chiedendo di pagare le bollette
di affittuari morosi, cosa che in nessuna parte del mondo sarebbe stata
accettata come corretta. Oltretutto, madame Nohay sa dove i vecchi inquilini si
sono trasferiti ma, pro bono pacis,
non ha intenzione di andare a reclamare il denaro che le spetta. Visto che Tina
insisteva, dicendo che se non pagavamo Jirama avrebbe tagliato la fornitura di
acqua e luce, le ho proposto un patto da mettere per iscritto: io avrei pagato
queste bollette non mie, ma non quelle dell’energia da me consumata. Cioè fra
due mesi me ne sarei andato senza pagare perché avevo già dato, come si suol
dire. La faccenda è rimasta in sospeso. Madame Nohay non è venuta a chiedere
soldi. Tina sa che questo è un terreno minato, foriero di litigi, ma le
bollette sono sul tavolino del soggiorno, in bella vista. Vedremo come andrà a
finire.
Nel
frattempo, a parte il continuo stillicidio di denaro che esce dalle mie tasche,
per qualche ragione accettabile o arbitrariamente, mi capitano anche incontri
ravvicinati di tipo zoologico. La vicina che alleva pollame, e a cui hanno
rubato 14 anatre, ha anche due tartarughe. Poiché durante il lavoro della
sostituzione del recinto Tina va a parlare con lei e suo marito, facendo quello
che in Madagascar si chiama miresake, chiacchierare, quasi uno sport nazionale, mi è capitato di sentire
l’uomo ridere rumorosamente quando mi ha visto con una pentola in mano, in
cortile. Stavo in effetti lavando i piatti, aggiungendo continuamente acqua
all’otre da campeggio di plastica che avevo portato ancora nel 2008 e che Tina
per fortuna non ha buttato via. La sua poca capienza mi costringe ad uscire
spesso in cortile per rifornirmi di acqua dalle taniche ed è stato così che
l’uomo, di professione poliziotto, mi ha visto e si è messo a ridere. Se
qualcuno ride di noi si prova una sensazione sgradevole, specie se non si
capisce la lingua e non si conosce il contesto in cui la risata si è
manifestata. Io sono sospettoso per natura e poi i poliziotti non mi piacciono
per niente.
Fregatene!
Mi dice una voce interiore. I malgasci non capiscono che dare da mangiare ai
cani randagi è opera meritoria e non da minorati mentali. E non capiscono che
un uomo che aiuta sua moglie (mentre questa sta a chiacchierare con i vicini) è
il prodotto del Femminismo e della parità dei sessi. Anch’egli fa un’azione
meritoria. Anche perché, se la moglie lavora, qualcuno li deve pur lavare i
piatti. Insomma, in Madagascar, noi stranieri oltre ad essere fauna esotica, e
quindi continuamente sotto lo sguardo di bambini e ragazzi, siamo sempre sul
punto d’esser presi per deficienti.
ti leggo spesso, a volte rido a volte inorridisco, mi continuo però a chiedere come tu faccia, caro amico degli animali a vivere lì
RispondiEliminaDomanda da un milione di euro!
EliminaForse perseguo il suggerimento: "Gnosce te ipsum", conosci te stesso.
E qui, vedendo la mia impotenza nell'impedire il male ai danni degli animali scopro quanto sono codardo.
Accorgendomi che mi tremano le gambe quando un poliziotto mi ferma per strada e mi chiede i documenti e mi fa sentire in colpa perché secondo lui non sono in regola, scopro quanto sono pavido.
Alla fine del viaggio, ritornato in Italia, avrò aggiunto un tassello in più alla conoscenza di me stesso.
Ti sembra poco?