giovedì 28 agosto 2014

Il festival delle donne senza mutande

 
Ogni giorno, stando in Madagascar, se ne impara una nuova. La mia informatrice privilegiata, mentre eravamo ospiti di suo nonno Fanolihany, mi ha raccontato che venerdì 22 agosto, presso Marolinta, ci sarebbe stata la festa annuale di Hasomanga (l’albero dei manghi) e infatti, già martedì sera erano arrivati alcuni suoi parenti Tanalana da Koritsiky, portando con sé uno zebù da sacrificare. Lungo la strada tra Besely Nord e Itampolo, il giorno dopo, tutte le persone che ho incrociato andavano a Marolinta, per partecipare proprio a quella cruenta festa di sangue, per loro del tutto normale, del resto. Tina mi aveva detto che in questa annuale occasione si uccidono anche 80 zebù, ma il giorno dopo abbiamo saputo che gli omby uccisi sono stati “solo” 33. Evidentemente, anche qui si deve constatare l’arrivo della crisi economica mondiale. La cosa che però, nella tragedia, mi ha fatto ridere è che il capo del distretto, un settantenne di nome Efandierany, vale a dire il capo dei capi villaggio, ha stabilito per quest’anno che le donne vengano alla festa senza mutande e reggiseno. Le code degli zebù, come consuetudine, vanno tutte a lui, saranno messe ad essiccare al sole e costituiranno ottimi spuntini per i mesi a venire. Essere capo distretto ha i suoi vantaggi. Ma ha anche i suoi svantaggi, come vedremo fra poco.

 
In un primo momento, quando ho saputo della proibizione dell’uso di biancheria intima femminile, ho pensato alla mentalità maschilista molto diffusa negli africani e nel mondo arabo, benché in Madagascar le donne godano di una posizione di prestigio che in altre parti d’Africa si sognano. Successivamente, Tina ha specificato che il divieto di portare mutande durante la festa è esteso anche a uomini e bambini, il che fa cadere l’ipotesi maschilista e mi fa propendere per una spiegazione più nobile. Cioè, potrebbe trattarsi del tentativo da parte del custode delle tradizioni, il capo gerarchicamente superiore a tutti i fokontany, i capi villaggio, di contrastare il diffondersi della cosiddetta civilizzazione, che non passa solo attraverso i cellulari, le radioline, la televisione e i mezzi motorizzati, ma anche attraverso gli abiti occidentali, pantaloni lunghi o corti, scarpe da ginnastica, magliette e giubbotti. Tutta roba proveniente dalla Cina, quando nuova, e dall’Europa, con il nome di “fripperie”, quando usata.
Sarebbe come se da noi, una volta all’anno, la gente fosse costretta ad andare a una festa sacra vestita con i costumi tradizionali, evitando assolutamente blue-jeans e altre diavolerie moderne. E’ una lotta impari, destinata ad essere sconfitta dalla globalizzazione, ma se queste sono le motivazioni del signor Efandierany bisogna fargli tanto di cappello, rispettando i suoi ingenui tentativi. Tuttavia, la faccenda non è del tutto idilliaca come finora l’ho descritta, perché anche in questo caso c’è scappato il morto.

Non mi riferisco ai 33 poveri zebù macellati e allegramente divorati, ma a un uomo di un villaggio della zona che si è recato alla festa sacra con il suo zebù ma, non avendo preso accordi preventivi con Efandierany, è stato da questo rimandato indietro e non ammesso alla rituale macellazione. Tina non ha saputo dirmi se la cosa è dipesa dal fatto che lo zebù non era del colore giusto, ma si è dichiarata più propensa a credere che si sia trattato di una mancanza di rispetto non tanto nei confronti del signor Efandierany, quanto nei confronti della tradizione stessa, perché tutti gli zebù devono ricevere l’approvazione preventiva del – diciamo così – sommo sacerdote della boscaglia.

Il fatto è che l’uomo giunto con il suo zebù a Marolinta, non volendosene tornare con la coda fra le gambe, lo ha macellato ugualmente, lo ha fatto a pezzi e ha portato la carne al suo villaggio. Appena arrivato a casa, l’uomo è morto. La notizia si è sparsa in un battibaleno ed è andata a rinforzare l’idea che al capo dei capi non si deve disubbidire e che con la festa sacra di Hasomanga non si scherza. A me sa tanto di leggenda metropolitana, ovvero della brousse. Giove Pluvio, però, ha voluto riequilibrare le cose e il giorno dopo, sabato 23 agosto, ha mandato tanta di quella pioggia sul terreno di Marolinta che tutto il sangue degli omby versato il giorno prima è stato lavato via. E questo non solo ha reso vana ogni sacralità dell’evento, ma ha anche gettato un’ombra di sventura sul povero Efandierany, il quale è molto preoccupato perché teme di morire entro breve tempo. E, se veramente il capo distretto dovesse essere accolto fra le braccia di Zanahary, si verificherebbe una specie di Nemesi per l’uomo che, rifiutato alla festa, è morto appena tornato a casa sua. Staremo a vedere.

Oltre alla notizia di quella morte, sulla cui autenticità c’è da sollevare qualche dubbio, se qualcuno dei partecipanti, uomo o donna che sia, sotto il pareo dovesse tenere le mutande, i suoi organi genitali esterni si ingrosserebbero, così che diverrebbe palese a tutti la sua disobbedienza. Non so a quali conseguenze andrebbe incontro un simile ribelle della mutanda, anche perché nessuno finora si è azzardato a provare. Inoltre, a un non circonciso succederebbe la stessa cosa e per questa ragione i vazaha non sono ammessi. Io, neanche se mi pagavano, ci sarei andato, a vedere assassinare 33 povere mucche con la gobba. Poco mi conforta sapere che la carne non va sprecata e che dell’omby non si butta via niente. Il consumo di carne – e questo vale in tutto il mondo – impedisce l’evoluzione spirituale dell’uomo e lo tiene ancorato alla preistoria.

Ci sono molti, sia vazaha che, ovviamente, gasy, a cui va bene così ma io, sapendo quanto sia preferibile la nonviolenza alla violenza, la giustizia all’ingiustizia, non smetterò mai di dire che il carnivorismo è sinonimo di barbarie, anche quando ammantato di sacralità come nella festa delle donne senza mutande.

Nessun commento:

Posta un commento