Un signore di Tolmezzo è andato a fare un’escursione sul monte
Amariana ed è caduto in un dirupo rompendosi una gamba. Per fortuna
non ha perso i sensi e, avendo con sé il cellulare, ha chiamato il
soccorso alpino. Nel giro di pochi minuti l’elicottero era già in
volo. I soccorritori furono indirizzati sul posto dallo stesso
escursionista che, pur tra mille dolori, è riuscito a indicare al
pilota il luogo esatto in cui era precipitato. I soccorritori sono
giunti sul posto e hanno caricato a bordo del velivolo il
malcapitato, dirigendosi poi alla volta di Klagenfurt. Una volta
resosi conto che lo stavano portando oltre confine, pur tra fitte
lancinanti di dolore, l’infortunato riuscì a chiedere: “Ma se vi
ho detto che sono di Tolmezzo, perché mi avete portato in Austria?”.
“Lei non si preoccupi, qui troverà ospedali d’eccellenza e bravi
ortopedici che la rimetteranno in sesto”. “Sì, ma io mi sarei
accontentato anche dell’ospedale di Tolmezzo”, replicò il ferito.
Dopo qualche giorno, un cicloamatore di Ovaro, cadde e si ruppe il
malleolo sulla cima del monte Zoncolan e anche in quel caso fu
prelevato dall’elisoccorso e portato a Linz. Anche lui, quando se
ne accorse, chiese spiegazioni e gli fu data più o meno la stessa
risposta. Che in Austria si sarebbe trovato bene, eccetera, eccetera.
La notizia di quegli strani salvataggi si sparse per tutte le vallate
carniche e mise in agitazione gli abitanti, anche perché nei giorni
seguenti casi del genere si verificarono ancora. Tutti coloro che
venivano caricati sull’elicottero del soccorso alpino, venivano
sequestrati e si ritrovavano in qualche ospedale austriaco. Le
famiglie dei sequestrati erano preoccupatissime e già i carabinieri
avevano ricevuto numerose chiamate, ma nulla sembrava rimettere a
posto le cose e i giorni passavano con diversi escursionisti
ingessati in vari ospedali austriaci.
Un giornalista d’assalto del Messaggero Veneto avvicinò uno dei
piloti dell’elicottero e gli chiese: “Perché li portate in
Austria? A casa hanno le famiglie che li aspettano”. E il pilota
rispose: “Noi del soccorso alpino abbiamo ricevuto disposizioni
dall’alto di portarli in Austria e non possiamo fare a meno di
obbedire perché si tratta di ordini che vengono da molto in alto,
dalle alte sfere”. Il giornalista prese nota e se ne andò. Dopo la
pubblicazione del suo articolo, ci fu una psicosi tra la gente e
nessuno voleva più andare in montagna temendo di farsi male e di
essere sequestrati dal soccorso alpino.
Lasciando da parte questo racconto di fantasia in stile Ray Bradbury, quello descritto è uno scenario che si verifica nella
realtà già da qualche anno, solo che al posto del soccorso alpino
abbiamo il soccorso marino. Ci sono infatti navi di ONG che hanno la pretesa di
farci credere che stiano salvando dei naufraghi, per lo più giovani, che in Africa hanno genitori, fidanzate, mogli e figli che li stanno
aspettando e che non li rivedranno per molti anni. A meno che il
naufrago “salvato” non riesca a far venire in Italia anche
loro. Quello che offende noi indigeni, oltre al fatto di doverli
mantenere, è che l’intera operazione ci viene fatta passare per
quello che non è. Cioè, ci fanno passare per scemi, cornuti e
mazziati, si direbbe in Meridione. Se ci dicessero chiaramente che i
naufraghi soccorsi non vengono in Italia contro la loro volontà,
come nel caso degli escursionisti carnici, ma che vengono per
stabilirsi, ci sentiremmo meno presi in giro e la nostra dignità non
sarebbe scalfita. Ma i subdoli ebrei che sono a capo di questa
sostituzione etnica non ce lo dicono. Mentono fin dall’epoca di
Abramo e continueranno a farlo, ché tanto noi, per loro, siamo solo
Goim, bestiame ottuso e sfruttabile. E poi, qui hanno i loro complici cattocomunisti che ci intortano con le loro fregnacce.
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