Testo di Lorenzo Zuppini
Il Sudafrica di Nelson Mandela si è trasformato in un incubo per i cittadini bianchi. La minoranza dei proprietari terrieri bianchi potrebbe assistere all’espropriazione delle loro terre senza ricevere alcun indennizzo. Loro sono proprietari di circa il 72% delle terre pur rappresentando l’8% della popolazione totale. Il modello strategico da cui trarre spunto sembra quello dello Zimbabwe ove, a fine anni ’90, il governo decise di distribuire le terre dei bianchi alla popolazione nera. I risultati furono catastrofici per l’economia del paese, il quale passò da essere considerato il granaio di tutta l’Africa a ricorrere agli aiuti del Programma alimentare mondiale. Gli agricoltori esperti e specializzati vennero accantonati pensando così di far trionfare il famigerato principio d’uguaglianza, senza tener però conto di un altro principio che è quello di realtà e che avrebbe dovuto indurre il governo zimbabwese a capire che le derrate agricole che riusciva ad esportare non piovevano dal cielo, bensì dal duro lavoro di fasce di lavoratori che si erano dimostrati capaci e volenterosi. I loro fratelli neri, a quanto pare, lo erano di meno.
E il clima in cui si trova a vivere la minoranza bianca nel paese dell’apartheid e di Mandela è altrettanto disastrosa. Afriforum, gruppo per i diritti civili, ha dichiarato che lo scorso anno la parte bianca del paese ha subito 423 aggressioni e 82 omicidi. A marzo 2018 contavamo 109 attacchi contro la popolazione bianca di cui 15 culminati in omicidi. Il governo, coerentemente con la politica di sequestro delle terre, ha deciso di negare totalmente la matrice razziale di questi attacchi e dal 2008 non rilascia più alcuna statistica su questi omicidi. Nell’arco di un anno, dal 2016 al 2017, la popolazione bianca in Sudafrica è diminuita passando da 4,52 milioni a 4,49 milioni. Ian Cameron, responsabile per la sicurezza di Afriforum, ha dichiarato che “le aree rurali dei bianchi sono soggette a una guerra criminale” che spesso sfocia in orrende torture effettuate con fiamme ossidriche e acqua bollente. Per l’appunto, Julius Malema, deputato e leader del partito marxista Combattenti della libertà economica, si è detto pronto a “tagliare la gola ai bianchi”.
Il presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa, dopo aver messo in dubbio la capacità dell’espropriazione delle terre ai bianchi di scaturire effetti positivi, pare aver deciso di ottemperare alle richieste delle frange più estreme e anti-bianche della politica sudafricana che chiedono a gran voce una vendetta nei confronti dei discendenti dei colonizzatori bianchi. L’Onu non se ne interessa e i filantropi de’ noantri tantomeno: alle roboanti dichiarazioni di disponibilità di accogliere un profugo in casa non hanno fatto seguire fatti concreti, quindi togliamoci dalla testa che qualcuno di loro utilizzi il megafono della notorietà per denunciare i crimini subiti dai bianchi.
Anche perché si tratta dei soliti intellettuali la cui capacità interpretativa non sa andar oltre le accuse a quei bianchi colonizzatori che pare abbiano affamato il popolo africano. Eppure, insomma, Gino Strada è sempre stato affezionato a tutti i terzi mondi e a tutte le minoranze maltrattate, ma a questo giro niente di niente, mutismo e rassegnazione. Esattamente come per i cristiani che tra il Medio Oriente e l’Africa stanno tecnicamente sparendo. In Nigeria, poi, avvengono massacri ai loro danni con cadenza quotidiana. Però i profughi e gli immigrati che meritano il nostro conforto e le loro magliette rosse sono solo quelli che pregano inginocchiati su un teppetino col culo per aria. Si direbbe si tratti di priorità, o almeno questo è ciò che suggerisce la logica.
La lente di ingrandimento del mainstream italiano ed europeo non può fermarsi su coloro che non abbiano mai subito le razzie degli sporchi bianchi, tanto meno su coloro che da questi ultimi discendono. La verità è che, come abbiamo già scritto, l’Africa ha problematiche interne che impediscono lo sfruttamento sia delle risorse che il mondo occidentale gli invia, sia – soprattutto – delle proprie risorse, le quali non sono affatto depredate dai paesi della fascia settentrionale del pianeta. I governi africani, soprattutto se si tratta di regimi dispotici, avrebbero la capacità e lo spazio necessario per rifiutare lo sfruttamento di alcune risorse da parte di altri paesi. Nessuno di coloro che millanta queste razzie spiega con criterio in cosa consista concretamente. Utilizzo di violenza? Di minacce? Siamo forse dei ricattatori? Costoro dipingono il continente africano e i suoi cittadini come un ammasso di deficienti privi della capacità di difendere il proprio territorio dall’invasore europeo. I problemi, in realtà, sono interni, e il più insidioso si chiama corruzione. La presenza di paesi occidentali in Africa dovrebbe esser vista con allegria, poiché è indubbio che dalle nostre tecnologie e dalla nostra scienza loro abbiano solo da imparare. Per fare un paragone, e trasferendoci sul piano militare, sarebbe come stupirsi del fatto che siano le nostre forze armate ad addestrare quelle libiche e non il contrario.
A proposito di Libia: gli invasionisti nostrani dovrebbero stracciarsi le vesti per quella sciagurata guerra mossa contro Gheddafi, da Sarcozy e il premio nobel Obama denominata Primavera araba, che poi ha soltanto condotto il Nord Africa e metà Medio Oriente nell’inferno della guerra civile e dell’estremismo islamico. Guarda caso, però, nel 2011 erano proprio loro a fare il tifo per quella guerra umanitaria perché vedevano all’orizzonte, ciechi come talpe, un nuovo futuro per quelle terre che tanto amano. Un disastro totale, come tutto ciò che le loro menti illuminate partoriscono, e i gran casini che ne sono derivati se li deve sorbire la parte del paese che lor signori definiscono populista e razzista.
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