Fonte: Il Populista
Anna Bono, docente di Storia e
Istituzioni dell’Africa all'Università di Torino, conoscendo a
fondo la materia, ribalta un bel gruzzolo di luoghi comuni. Spiega
che chi sbarca o viene traghettato sulle nostre coste, arrivando
prevalentemente dall'Africa subsahariana, per la stragrande
maggioranza dei casi non è un profugo. E nemmeno un povero in fuga
dalla fame. Ma un giovane maschio, spesso appartenente al ceto medio,
che non scappa da guerre o persecuzioni. "La maggior parte di
chi lascia l’Africa subsahariana per l'Europa non scappa né dalla
guerra, né dalla povertà estrema".
Professoressa, ci raccontano che gli
immigrati che arrivano in Italia sono profughi.
I dati dicono che
dall'inizio dell'anno il numero di persone che hanno fatto domanda di
asilo politico, e che hanno ottenuto risposta positiva, si assesta
intorno al 4%. Significa che tutti gli altri non rientrano nei
parametri previsti dalla convenzione di Ginevra, quindi non sono
persone che hanno lasciato il loro Paese sotto la minaccia di perdere
la libertà o la vita: non sono persone perseguitate.
E ci raccontano che chi non scappa
dalla guerra però scappa dalla fame.
I costi elevatissimi
dell’emigrazione clandestina contraddicono questa tesi comune.
Ormai è risaputo che chi vuole venire in Europa deve mettere insieme
4mila, 5mila o 10mila dollari per potersi appoggiare a
un’organizzazione di trafficanti che provveda all'espatrio. Cifre
appunto elevatissime soprattutto se rapportate ai redditi medi dei
Paesi di provenienza. Chi arriva generalmente appartiene al ceto
medio o medio basso, comunque per la gran parte non si tratta di
indigenti. C’è chi risparmia, chi si fa prestare il denaro dai
parenti, chi paga a rate, chi vende una mandria, però i soldi ci
sono, i trafficanti vogliono essere pagati in contanti. È gente che
ha una disponibilità economica. Certo c’è la delusione di vivere
in Paesi dove avanzano prevalentemente i raccomandati: la spinta può
arrivare anche da lì, da delusioni lavorative, come succede per chi
parte dall'Italia.
Per quale motivo chi è eventualmente
coinvolto in un conflitto dovrebbe far rotta dall'Africa subsahariana
verso l'Europa?
Infatti non succede questo. In Africa i profughi
sono milioni e milioni ma la quasi totalità di coloro che ottengono
asilo non lascia il continente. I profughi sono più di 60 milioni,
dato del 2015, di cui 41 milioni sono profughi interni, sfollati.
Quando si vive in uno stato di conflitto o di pericolo ci si
allontana solo il minimo indispensabile per mettersi al sicuro,
pensando di poter fare ritorno a casa propria. La maggior parte delle
persone si allontana restando all'interno dei confini nazionali,
mentre un’altra porzione di persone oltrepassa i confini per essere
ospitata nei campi dell'Unhcr anche per lungo tempo, come per il caso
della Somalia. Benché la diaspora somala sia una delle più numerose
al mondo, a causa di vent'anni di instabilità e del terrorismo di Al
Shaabab, solo una parte dei profughi è fuggita all'estero: la gran
parte ha oltrepassato i confini nazionali riparando nel vicino Kenya.
Qual è la situazione nei Paesi di
partenza?
Molti emigranti arrivano per esempio da un Paese come il
Senegal che non è in guerra, non vive gravi problemi di conflitti e
come tutti i Paesi africani, con poche eccezioni, vive un periodo
positivo dal punto di vista economico. Da anni quasi tutta l’Africa
presenta una crescita del prodotto interno lordo costante e in certi
casi consistente. Il problema è che questa crescita non si traduce
in vero e proprio sviluppo economico o umano, anche a causa della
corruzione endemica e del malgoverno.
Per quale motivo telegiornali, grande
stampa e larga parte della politica insistono nel parlare
erroneamente di "sbarchi di profughi o rifugiati"?
Mass-media, politici, chiunque parli di immigrazione utilizza emigrante,
profugo o rifugiato come fossero sinonimi. Ma ovviamente non lo sono.
In parte ciò è frutto di una confusione involontaria. In parte però
si tratta di un errore voluto, perché c'è la tendenza ad affermare
che chiunque lasci il proprio Paese abbia una forma di disagio e
dunque abbia il diritto di essere ospitato. Questo approccio si
traduce in ciò che vediamo: centinaia di migliaia di persone in
marcia per arrivare in Europa. Molti dei quali non sono indigenti e
per la maggior parte, circa l’80%, sono giovani uomini di età non
superiore ai 35 anni. Poi c’è una fetta crescente di minori
non accompagnati, metà dei quali non si sa che fine faccia. Si parla
tanto di accoglienza e poi lasciamo sparire 5mila bambini nel nulla.
L'esodo è favorito da una sorta di
propaganda?
Nei Paesi dell’Africa subsahariana esistono
pubblicità che incitano ad andare in Italia, spiegando che qui è
tutto gratis. E in effetti lo è. Mi immagino le telefonate di questi
ragazzi ai loro amici, in cui confermano che effettivamente tutto
viene assicurato loro gratuitamente.
Come vede la questione in
prospettiva?
Se continuiamo ad andarli a prendere a poca distanza
dalle coste africane, come illustrava una vignetta satirica di
Krancic, la situazione non potrà che peggiorare. In Grecia non
sbarca quasi più nessuno da quando è stato siglato l’accordo con
la Turchia. Se chi pensa di venire in Italia ha la certezza di essere
rimandato indietro, non avendo le caratteristiche per ottenere
l'asilo, alla fine desiste. Manca la volontà politica. Che ci sia un
divario notevole tra le condizioni di vita dell’Africa, del
Sudamerica o di una parte dell’Asia rispetto all'Occidente è
evidente. Però noi abbiamo 4 milioni e 600mila poveri assoluti e il
40% dei giovani senza lavoro, numeri di cui tenere conto.
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