Fonte: Rita Sberna
Si fa chiamare Michela, ma il suo vero
nome è top secret. Contattarla è stato difficilissimo, perché vive
nascosta e protetta nel più totale anonimato. La sua è una storia terribile ma lei
ha avuto il coraggio di renderla pubblica nel libro Fuggita da
Satana. Questa è la prima intervista che concede.
Come si è avvicinata al
satanismo?
«Venivo da un periodo di grande sofferenza; la persona
che amavo era mancata quattro giorni prima del nostro matrimonio. Ma
questa era solo la punta dell'iceberg di una lunga serie di
sofferenze e abbandoni, cominciati sin dalla mia nascita. Mamma e
papà mi avevano abbandonato alle cure di un istituto, dove ho subito
violenze di ogni genere, sono stata adottata ma la famiglia adottiva
non era preparata a gestire il rapporto con una figlia con traumi
così dolorosi. Dopo questo ennesimo abbandono ho dichiarato guerra a
Dio, quasi urlando se ci sei io ti distruggo!».
Come ha combattuto questa guerra?
«Ho
iniziato a cercare risposte nelle varie filosofie orientali, mi sono
avvicinata al reiki, sino a quando una persona di questo ambiente mi
ha proposto di sottopormi ad una terapia psicanalitica. All'inizio
andavo solo un giorno alla settimana, poi fino a quattro volte alla
settimana, e una sera mi sono trovata a partecipare alla mia prima
messa nera. La persona dalla quale mi facevo seguire era un’adepta
della setta, e tramite ripetute sedute di ipnosi mi aveva indotto a
compiere questo passo, senza che io ne fossi consapevole».
Che cosa cercava nella setta?
"
Io
nella setta non cercavo niente, mi ci sono trovata. Non è che una
persona si alza alla mattina e decide di entrare in una setta perché
ha particolari bisogni, è stato il frutto di un percorso che
indubbiamente aveva annullato la mia capacità di decidere. Di sicuro
questa persona aveva fatto leva sui miei bisogni, consci e inconsci,
da colmare. Una cosa è certa, avrei dato tutto l’oro del mondo
(e all’epoca guadagnavo davvero molto) per avere solo cinque
minuti di felicità vera, per avere insomma l’esperienza
dell’amore, quello vero».
L’esperienza che descrive nel libro
è terribile: a lei è stato chiesto di uccidere…
«Era la notte
di Natale di qualche anno fa. Ero arrivata ad un punto, all’interno
della setta, in cui potevo raggiungere un livello ancora più alto,
un potere maggiore, a patto che facessi per loro qualcosa che avrebbe
garantito la mia fedeltà. Mi fu detto che a Roma c’era una
ragazza, una certa Chiara Amirante che aveva da poco aperto una
comunità, Nuovi Orizzonti, per accogliere i più disperati,
vittime di drammatici circoli viziosi, eroina, carcere, alcolismo. La
ritenevano pericolosa perché aveva aiutato molte persone ad uscire
da certi ambienti. Per questo mi chiesero di ucciderla e di
distruggere tutta la sua opera».
Che cosa l’ha fermata?
«Quando
sono arrivata a Trigoria, nella periferia di Roma, la prima sede
della comunità, conobbi subito proprio lei, Chiara, che mi abbracciò
e mi disse: Finalmente sei a casa. È l’abbraccio che
capovolge la mia vita, l’abbraccio di una madre, di una sorella,
di un’amica, di qualcuno che in quel momento mi ha voluto bene
così com’ero. Avevo scoperto che Dio è amore e perdona tutto,
anche la mia volontà di fargli guerra».
Nel libro lei afferma che tra i
satanisti ci sono personaggi importanti? Può dire qualcosa di
più?
«No, ma confermo quello che ho scritto».
«Per uscire dalla setta serve innanzitutto la
volontà, per sottoporsi a lunghi e dolorosi esorcismi. Volontà di
ricostruire tutta la mia persona, sia dal punto di vista fisico,
psicologico e spirituale. Ho dovuto sottopormi ad una psicoterapia,
per ricostruire la mia psiche alterata e danneggiata. La vera libertà
ho scoperto che non sta nel fare ciò che si vuole, e ciò che il
mondo ti propone – tutte le volte che ho seguito questo tipo di
libertà ho raccolto morte, solitudine e disperazione – ma sta
nell’obbedienza alla volontà di Dio. Quando ho cominciato a
vivere questo ho sperimentato la pienezza della gioia. Io non ho
paura, perché confido in Dio, e cerco di portare l’amore a
chi non ha l’ha conosciuto».
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