Fonte: L'Occidentale
I ministri olandesi di Sanità e
Giustizia hanno chiesto al loro parlamento una nuova legge per
riconoscere il diritto a morire anche a chi, sano, considera la
propria vita “completata”. Persone che “non vedono più alcuna
possibilità di dare un senso alla loro vita, patiscono profondamente
la perdita di indipendenza e rimangono isolati o da soli forse perché
hanno perso la persona amata… ma per mettere fine alla loro vita
hanno bisogno di un aiuto”. Dicono sia destinata soprattutto ad
anziani, ma non sono previsti limiti di età e quindi, praticamente,
è una legge rivolta a tutta la popolazione: alzi la mano chi, in
vita sua, non si è mai trovato in una delle situazioni
descritte. Disoccupati e malati (cioè dipendenti da altri),
persone abbandonate dai propri partner (non è necessario essere
vedovi per perdere la persona amata, è sufficiente essere lasciati,
magari traditi, dopo anni di convivenza), e chiaramente anziani, che
adesso ma soprattutto negli anni a venire sono sempre più destinati
alla solitudine, vista la mancanza di figli su cui poter contare.
E se non fosse tragico verrebbe da
ridere leggendo che il tutto andrebbe fatto “a rigide condizioni”:
con questi presupposti, quali mai saranno le “rigidità”? In
verità i requisiti stringenti non riguarderanno più le condizioni
in cui si dovrebbe trovare la persona che chiede la morte assistita,
come previsto inizialmente dalla legge olandese sulla eutanasia,
applicabile a malati in stato terminale. Adesso non ci sono più
alibi: l’eutanasia – o il suicidio assistito – non è la
risposta estrema a sofferenze estreme, non curabili in nessun modo –
fortunatamente la medicina ha sconfitto il dolore – ma la
realizzazione del diritto a morire, anzi, ad essere uccisi dallo
stato, su richiesta.
Se la proposta olandese andrà in porto
per farla finita sarà sufficiente un “sono stanco, penso che
basti”, e ci penserà il Sistema Sanitario Nazionale a farlo “nella
maniera dignitosa che ritengono opportuna”, quasi si potesse pure
pensare di scegliere come farsi uccidere. Le “rigide
condizioni” previste dalla futura legge dovrebbero piuttosto
riguardare gli “operatori”: la “pratica” – non la si vuole
chiamare eutanasia, parola maledetta – dovrebbe essere eseguita con
l’assistenza di “personale specializzato” e di un “esperto
indipendente”. Alcune agenzie di stampa, a questo proposito,
riferiscono più precisamente della presenza, nella legge, della
figura di un “provider di morte assistita” con una formazione
medica, che ha avuto anche un training aggiuntivo.
Ma ci chiediamo: specializzato in che?
Esperto in che? E indipendente da chi? E cosa dovrebbe fare questo
“provider” di morte, per specializzarsi ulteriormente? E dove la
dovrebbe fare, questa ulteriore specializzazione? Le parole
scelte non sono a caso: è un vecchio trucco quello di cercare di
nobilitare una pratica, o almeno di renderla neutra dal punto di
vista del giudizio, dandole un tono di scientificità, affidando la
questione alla sicurezza asettica di personale specializzato e
adottando un linguaggio da manuale tecnico operativo. Una volta i “provider” di morte
assistita, cioè gli esperti nel procurare la morte secondo le leggi
statali avevano un nome inequivocabile: erano i boia, specialisti nel
somministrare la “pena di morte”, che adesso, visto che la
condanna uno se la può infliggere da solo, si potrebbe chiamare
“pena di morte autoinflitta”. Ma il boia rimane, e secondo i
ministri, “renderà giustizia a un legittimo e crescente desiderio
espresso in generale dalla società”. Una società che, non
avendo più motivi per vivere, non ne ha più neppure per morire.
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