Dall’America, all’Europa,
all’Italia sembra uscire allo scoperto, fomentato da politici e
media irresponsabili e amplificato dai pareri espressi sui social
media, un clima aperto di razzismo e xenofobia, come se l’espressione
di odio razziale nei confronti dei migranti o delle minoranze, anche
con linguaggi e gesti violenti, non sia più un tabù ma una
legittima opinione. L’episodio di Fermo, con l’uccisione del
nigeriano le cui dinamiche chiarirà la magistratura, ha avuto uno
strascico di posizioni opposte sui social. Molti difendono
apertamente l’aggressore, come se la violenza, verbale e poi
fisica, dell’insulto razziale sia legittima. Mentre il refrain
contro i migranti è sempre lo stesso: “Premesso che non sono
razzista…”. Cosa ci sta succedendo? Lo abbiamo chiesto allo
psichiatra Vittorino Andreoli, ma la premessa che anticipa tutta la
riflessione è semplice e sconfortante: “Questa società non mi
piace”.
Sono stati consumati, se non distrutti,
alcuni principi, che erano alla base della nostra civiltà, che nasce
in Grecia, a cui si aggiunge il cristianesimo. Non c’è più
rispetto per l’altro, la morte è diventata banale, tanto che
uccidere è una modalità per risolvere un problema. Non c’è più
il senso del mistero e del limite dell’uomo. L’episodio di Fermo
va inserito in una cornice di civiltà disastrosa. Non esiste più
l’applicazione dei principi morali della società e c’è un
affastellarsi di leggi, come se le leggi possano sostituire i
principi. Oggi domina la cultura del nemico: la superficialità porta
l’identità a fondarsi sul nemico. Se uno non ha un nemico non
riesce a caratterizzare se stesso. Questa è una regressione
antropologica perché si va alle pulsioni. Tutto questo è favorito
da partiti che sostengono l’odio, lo stesso agire sociale è fatto
di nemici. Perfino nelle istituzioni religiose qualche volta si
affaccia il nemico. In questo quadro tornano le questioni razziali.
E’ considerare l’altro inferiore
perché ha quelle caratteristiche, per cui bisogna combatterlo. Se
uno è diverso da te è un nemico e va combattuto. Si arriva alla
legge del taglione. Si torna a fare la guerra perché il diverso è
un nemico che porta via soldi, posti di lavoro, eccetera. Così come
c’è una gerarchia dei potenti c’è anche una gerarchia di razze.
Perché sono presi di mira solo alcuni. Il razzismo e i pregiudizi sono però
universalmente presenti nel cuore dell’uomo, a prescindere dalle
nazioni. I fatti di questi giorni negli Usa ne sono un esempio. E’ sicuramente un istinto presente
nella nostra biologia, nella nostra natura, ossia la lotta per la
sopravvivenza di cui parlava Darwin, la lotta per la difesa del
territorio. Ma tipico dell’uomo non è solo la biologia ma la
cultura. E la cultura dovrebbe essere quella condizione in cui
rispettiamo gli altri e riusciamo a frenare un istinto. Il problema
è: come mai la cultura che caratterizza l’uomo e consiste nel
controllo delle pulsioni non c’è più? Tutta una cultura che si
era costruita fino a epigoni che erano quelli dell’amore, della
fratellanza, è completamente recitata ma non vissuta.
Questo è un Paese, ma anche tutto
l’Occidente, che sta regredendo alla pulsionalità, all’uomo
pulsione.
Ciò che mi spaventa e mi addolora è che per raggiungere una cultura ci vuole tanto tempo e la si può perdere in una generazione. Gli episodi che osserviamo sono silenziosamente sostenuti da tante persone. Non dicono niente ma li approvano. Bisogna impedire che ci sia chi soffia sul fuoco. Nessuno parla del valore della conoscenza utile nell’avvicinare altre storie, altre culture. Tutto viene mostrato come negativo: gli immigrati fanno perdere posti di lavoro, c’è violenza e criminalità. Il problema è che all’origine c’è sempre una esclusione. E’ terribile, stiamo diventando un popolo incivile.
Ciò che mi spaventa e mi addolora è che per raggiungere una cultura ci vuole tanto tempo e la si può perdere in una generazione. Gli episodi che osserviamo sono silenziosamente sostenuti da tante persone. Non dicono niente ma li approvano. Bisogna impedire che ci sia chi soffia sul fuoco. Nessuno parla del valore della conoscenza utile nell’avvicinare altre storie, altre culture. Tutto viene mostrato come negativo: gli immigrati fanno perdere posti di lavoro, c’è violenza e criminalità. Il problema è che all’origine c’è sempre una esclusione. E’ terribile, stiamo diventando un popolo incivile.
Nei dibattiti pubblici, soprattutto sui
social, c’è sempre un “noi” contro “loro”: i migranti, più
deboli, diventano il capro espiatorio di tutti i mali.
Certo, questo è il principio
darwiniano. L’evoluzione si lega alla lotta per l’esistenza:
“mors tua, vita mea”. Bisogna eliminare il nemico, deve vincere
la mia tribù che deve prendere il tuo territorio. E’ una
regressione spaventosa. Poi c’è la crisi che ha sottolineato la
paura, le incertezze. E la paura genera sempre violenza. Ci rendiamo
conto che, in un Paese che non legge, un giornale ha regalato il Mein
Kampf di Hitler? Perché non hanno regalato “La pace perpetua” di
Kant?
Marketing, ricerca di consenso e voti,
incoscienza: quali sono, secondo lei, le vere ragioni dietro a scelte
così pericolose? Come fare per arginarle?
Non è follia, è stupidità. Bisogna
prendere una posizione molto decisa: non è più possibile fare
finta. Questa è una società falsa, che recita. Andiamo incontro a
situazioni che saranno di nuovo drammatiche. Ci vuole più coraggio
anche nella Chiesa. Il Papa lo ha avuto nel suo schierarsi dalla
parte dei migranti, ma ci sono quelli che non sono d’accordo.
Bisogna cominciare a dire che questa nazione deve cercare di far
emergere uomini e donne saggi, intelligenti. Stiamo scegliendo i
peggiori. C’è una ignoranza spaventosa. Bisogna poter
parlare, spiegare, capirsi. Occorrono persone credibili per parlare
ai giovani, ma la via è sempre quella della cultura. Fare
promozione, educazione, dimostrare quanta positività c’è in chi
viene odiato, per stimolare al rispetto nei loro confronti.
Con i giovani è più facile perché
sono come pagine bianche di un libro da scrivere. Ma con adulti già
formati come si fa? E’ una battaglia già persa in partenza?
No, perché l’espressione esplicita
dei pregiudizi nasce dal sentirsi sostenuti. Se nascondono ancora il
loro pensiero sono recuperabili. Il problema emerge quando ci si
sente in tanti a pensarlo. Bisogna far scoprire cosa c’è
nell’altro, cosa significa una società diversa. Purtroppo oggi sui social non si
nasconde più il proprio pensiero: lo schermo del computer protegge
dal confronto diretto, le affermazioni diventano più violente e
l’espressione dei pregiudizi, anche in maniera razionale, serve
solo a rafforzare l’ego…
E’ vero. Questo è più grave, perché
se uno stava zitto e si esprimeva a casa, agiva male solo in
famiglia. Adesso diventa un’azione diffusa, trasformandosi in vera
e propria propaganda.
I migranti sono invasori, peggio di quelli armati
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