Fonte:
Basta Casta
Anche
quest’anno lo Stato non sarà laico e lo stipendio dei cappellani militari è
salvo. Tanto paga il ministero della Difesa. Quanto costa allo Stato la cura
spirituale dei militari impegnati in missione? Quasi 17 milioni di euro.
Questa
cifra comprende gli stipendi, le pensioni e il mantenimento degli uffici. Solo
questi pesano due milioni di euro l’anno. I cappellani in attività sono 134 e i
loro stipendi, equiparati a quelli dei generali, ammontano a 6 milioni e 300
mila euro. Per quanto riguarda le spese pensionistiche, non essendo chiaro
nemmeno al ministro l’ammontare complessivo delle erogazioni, è possibile
unicamente fare una stima approssimativa.
In
ogni caso l’importo annuo lordo del trattamento pensionistico ordinario dei
cappellani dovrebbe ammontare a circa 43 mila euro lordi. Considerando che i
cappellani che sono andati in pensione negli ultimi 20 anni sono 156 l’importo
complessivo è di 6 milioni e 700mila euro. C’è di più. I cappellani ricevono
stipendi dallo Stato ma possono maturare la pensione in anticipo rispetto agli
altri lavoratori dipendenti e rispetto al militare pari grado e non mancano
nemmeno casi di baby-pensionati.
Il
prelato, infatti, che porta a casa la stessa busta paga di un generale di
brigata in congedo, ha diritto a una pensione fino a 4 mila euro al mese.
Questo, nonostante abbia prestato servizio per soli tre anni. Compiuti i 63 anni,
età per la quale un Generale di brigata è collocato in congedo, ha maturato il
vitalizio. Un problema, quello dei preti con l’elmetto, finito un anno fa in
discussione alla Camera dei deputati.
La
proposta di alcuni parlamentari radicali era semplice “Al personale del
servizio assistenza spirituale non compete il trattamento economico a carico
dello Stato, ovvero del Ministero della difesa. In più il coordinamento con l’Ordinariato
militare, il trattamento economico e previdenziale del personale del servizio
assistenza spirituale è assicurato dalla diocesi dell’ambito territoriale del
comando militare”.
Ma
l’allora presidente Gianfranco Fini, dimostrando l’estrema devozione della
partitocrazia
alla sacralità della “casta ecclesiastica-militare, non fece una grinza: “Del resto, già in precedenti occasioni, sia in sede referente sia in Assemblea, sono stati dichiarati inammissibili emendamenti di identico contenuto, in quanto la materia trattata è oggetto di intesa tra lo Stato italiano e la Conferenza episcopale italiana.
alla sacralità della “casta ecclesiastica-militare, non fece una grinza: “Del resto, già in precedenti occasioni, sia in sede referente sia in Assemblea, sono stati dichiarati inammissibili emendamenti di identico contenuto, in quanto la materia trattata è oggetto di intesa tra lo Stato italiano e la Conferenza episcopale italiana.
Una
risposta inaccettabile per i firmatari di una proposta che mirava al taglio
degli sprechi e dei privilegi.
Sostenere,
contrariamente alla legge e al diritto, che la disciplina del trattamento
economico dei cappellani militari sia tra le questioni tutelate dal Concordato,
e quindi indirettamente elevata a norma di rango costituzionale, dimostrerebbe
una scarsa conoscenza della materia. Se la Difesa rinunciasse a pagare i ricchi
stipendi dei cappellani non inciderebbe in alcun modo sul Concordato perché non
modificherebbe alcuna “intesa”, che di fatto è inesistente.
La recente
riformulazione dell’articolo 17 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Servizio di assistenza spirituale) conferma che “l’intesa” a cui fanno riferimento
le diverse Istituzioni parlamentari non esiste.
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