Testo di Paolo Sensini
Un tempo la filosofia era una cosa seria, maledettamente seria.
Oggi è diventata puro vaniloquio imbellettato da concetti astrusi e
fumisterie ideologiche. Prendiamo un esempio a caso: Donatella Di Cesare, ordinario di filosofia teoretica alla Sapienza di Roma ed
ermeneutica filosofica alla Normale di Pisa. Due tra le cattedre
"filosofiche" più importanti d'Italia. Per lei oggi la
cosa fondamentale si riassume nella parola "coabitazione",
nel senso che i cittadini europei (e dell'Occidente in genere)
devono spalancare le porte di casa loro ai miliardi di "migranti
intesi come cittadini del mondo", accoglierli e mettersi in
testa che tutto appartiene a tutti. Basta con la proprietà privata,
basta con l'idea di un radicamento in qualcosa o in qualche luogo.
Tutta roba vecchia e sepolta, ci spiega la professoressa Di Cesare.
Nulla ci appartiene, e dunque un clandestino che arriva oggi a Milano
dal Congo ha gli stessi diritti del cittadino milanese la cui
famiglia risiede in quel luogo da generazioni. Sradicamento,
deterritorializzazione e fine quindi della sovranità per ciascun
popolo che vive sul proprio territorio, come se tutto ciò non avesse
un costo e qualcuno poi non se dovesse fare carico. L'unico principio
valevole che ci indica la signora è dunque quello di "erranza",
a cui la filosofa si rifà - in quanto ebrea - riprendendo il
concetto dal Levitico nell'Antico Testamento, e rilanciandolo come
unica condizione possibile dell'esistenza. A questo oggi è ridotta
la filosofia universitaria a libro paga dello Stato italiano: un
guazzabuglio di citazioni condite dal nulla, ma con un "radicamento"
a cui la professoressa Di Cesare non rinuncerebbe mai: i suoi lauti
stipendi pagati con i soldi dei contribuenti.
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