Testo di Rita Ciatti
"Beee, beee, il
papà non c'è", dice un addetto a un agnellino di poche
settimane che piange disperato, e poi lo trascina dalla sala di sosta
al mattatoio; "dovete andare a pulire casa", dice un altro,
o forse sempre lo stesso, a noi, che siamo donne e attiviste; ci
guarda con sfida un terzo mentre affila i coltelli, uscito dalla
struttura al solo scopo di provocarci o magari intimidirci, in fondo
è lui quello che ha un'arma in mano, noi abbiamo solo cartelli, telecamere e ombrelli perché sta diluviando da quando
siamo qui. Almeno non c'è il sole come l'altra volta, sembra più
straniante stare davanti a un mattatoio mentre gli uccellini danzano
nel sole, ma anche così, col cielo che ti si riversa addosso, è
straniante lo stesso.
Siamo di nuovo qui, per chi è
dentro è un altro giorno di lavoro, o la fine della vita, dipende da
che parte si sta, se da quella di chi tiene in mano il coltello o da
quella di chi ne subisce la lama. Un altro giorno di ordinaria
follia, o di folle normalità, cambia poco come lo si chiami, alla
fine è sempre la solita banalità del male che prende vita davanti
ai nostri occhi. Ma, a differenza degli altri giorni, non scorre
indisturbata come sempre perché i nostri corpi rappresentano un
piccolo elemento di disturbo, un inceppo nell'ingranaggio. Siamo
pochi, ma è la seconda volta che veniamo in questo mattatoio ed è
evidente che la nostra presenza non è gradita. Intanto hanno dovuto
sistemare diversi mezzi davanti alla stalla di sosta per impedirci di
vedere il momento dello scarico e quello dell'entrata nella camera di
macellazione.
Cinque camion - cinque - carichi di piccole
vite, talmente piccole che in alcuni abbiamo dovuto infilare la testa
all'interno per riuscire a vederli, ché coi loro musetti non
riuscivano nemmeno ad arrivare alle sbarre; in un altro c'era una
pecora adulta in mezzo a loro, sicuramente una madre e tutti i
piccoli le stavano stretti stretti attorno, in cerca di una
protezione che di lì a poco non sarebbe più riuscita a dargli; un
altro a momenti mi investe, tutto preso dalla fretta di entrare
dentro al cancello; "non vi azzardate a toccare il camion!",
ci ha urlato con uno sguardo carico di odio. Ma chi te lo tocca il
tuo lurido camion, sporco di merda e di sangue. Si affrettano ad
entrare, non vogliono che riprendiamo i musetti degli agnellini,
tanto meno che gli facciamo una carezza.
Non è per niente facile restare
lucidi in mezzo a tanta follia, eppure in qualche modo bisogna
riuscire a fare appello a tutta la forza interiore possibile per
restare lì a documentare il passaggio dei camion che entrano al
mattatoio perché tanto ci sarebbero comunque, solo nell'invisibilità
totale, invece almeno così abbiamo la possibilità di raccontare a
tutti di cosa è fatta questa realtà infernale e come ci finisce il
loro pezzetto di abbacchio sullo scaffale del supermercato.
Una
realtà fatta di totale dissonanza cognitiva in cui gli addetti
cantano, ridono, mangiano, dileggiano cuccioli spaventati che belano
in cerca della mamma e si divertono a provocare un gruppetto di donne
e ragazze mostrandogli coltellacci lordi di sangue. Come
se ci facessero paura!
E c'è da aver paura, ma non del
coltello, ma di tutta quella massa di brave persone che, tra risa e
banalità, si rende complice di uno sterminio di proporzioni
inaudite. E ancora ci dovremmo sentire dire che gli estremisti
siamo noi? Sul retro del mattatoio ci sono due
cani di razza pastore maremmano, mi hanno fatto una pena incredibile
anche loro, chissà se qualcuno gli farà mai una carezza? E poi,
sempre sul retro, c'è anche un piccolo pollaio. Non si fanno mancare
niente: dal piccolo allevamento direttamente al mattatoio in pochi
secondi, tanto, animale più, animale meno, che differenza fa quando
se ne ammazzano centinaia al giorno?
Tutto intorno, sul piazzale, come
l'altra volta, rumori di mezzi meccanici, muletti, furgoncini, la
meccanizzazione della vita e della morte. L'azzeramento di ogni
emozione. Oggi un carabiniere si è commosso. Ho
visto la sua espressione cambiare quando è arrivato il primo camion.
Se n'è stato tutto il tempo in silenzio, con la faccia sempre più
scura e gli occhi lucidi. Alla fine sono andata a parlarci. "Lei
è una brava persona", gli ho detto, anche se qui sta ricoprendo
un ruolo. "La legge è un atto di forza", mi ha risposto.
"Faccio questo lavoro perché ho vinto il concorso tanti anni
fa, ma a me dispiace, dispiace per quelli che i giudici mi chiedono
di arrestare magari perché hanno fatto qualcosa che non andava tempo
prima, ma so che sono bravi ragazzi che magari hanno trovato anche un
lavoretto, mi dispiace per gli animali, io amo gli animali"; "e
non è necessario ucciderli", ho proseguito", "no, non
è necessario", ha confermato, scuotendo la testa.
A volte un briciolo di umanità la
trovi dove meno te lo aspetti, io oggi l'ho trovata negli occhi di
questo signore, non voglio nemmeno chiamarlo carabiniere perché si
vedeva che era uno di quelli che non si identifica con la divisa. Negli occhi delle mie compagne e
compagni di lotta, invece, ho visto la mia stessa impotenza, la mia
stessa dolorosa frustrazione per non poter far nulla per salvare gli
animali. Negli occhi di quei cuccioli... non
voglio dire cosa ho visto nei loro occhi, so solo che per loro non ci
sarà più niente da vedere. A quest'ora saranno già tutti morti.
Non belano più, non cercano più la mamma.
Per cosa?
Ecco, domandatevi per cosa.
Poche notti fa ho fatto un sogno. Ho
sognato che mentre camminavo per strada, all'interno di un centro
abitato di un piccolo paese, a un certo punto incrociavo un tir
carico di agnellini. Ho sognato che si fermava e io mi avvicinavo.
Gli agnellini erano tanti, tantissimi, mi guardavano e io guardavo
loro. Ho sognato che a un certo punto incominciavano ad avvicinarsi
altre persone. Due, tre, quattro, dieci, venti, cento. A un certo
punto eravamo tante, tantissime, una massa sterminata di persone. Ho
sognato che eravamo così tanti che alla fine aprire quel maledetto
camion e liberare tutti gli agnellini è stato come bere un bicchier
d'acqua.
Io ho sempre amato il Natale. Mia nonna non ha mai voluto mangiare l'agnello. Ma non posso dire di essere migliore degli altri perché a Natale mangiavamo cotolette di vitello e pesce.
RispondiEliminaIo ho sempre amato il Natale. Mia nonna non ha mai voluto mangiare l'agnello. Ma non posso dire di essere migliore degli altri perché a Natale mangiavamo cotolette di vitello e pesce.
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