Se i partigiani, fino al 25 aprile del ‘45, erano mossi dal
nobile intendimento di liberare l’Italia dai tedeschi e dalla
prepotenza del fascismo, i partigiani dopo il 25 aprile hanno assunto
un aspetto del tutto diverso, considerato che le vendette che si sono
prese nei confronti di chi aveva perso la guerra possono essere
considerate come un elemento fisiologico di transizione e,
nell’insieme, vanno sotto il nome di epurazione. Come fa notare
giustamente Gianpaolo Pansa, quando finiscono le guerre civili
succede sempre così. Tuttavia, quando alcuni elementi della
Resistenza si misero in testa di voler attuare la rivoluzione
comunista, eliminando fisicamente sacerdoti e ricchi possidenti
agrari, che poco o nulla avevano avuto a che fare con il fascismo, si
capì che erano in gioco alcune componenti psicologiche di stampo
prettamente razzista, analoghe a quelle già viste negli stati
meridionali degli USA un secolo prima.
Per capirci, nel 1868, in Georgia, una coppia di negri con sette
figli aveva raggiunto un livello di agiatezza, con casa di proprietà,
bestiame e campi di cotone, che per i bianchi del posto era inaudito
e inaccettabile. Il Ku Klux Klan decise di far loro visita, ma quando
in piena notte uomini mascherati si avvicinarono alla casa furono
accolti dalla fucilata di uno dei ragazzi, incaricato dal padre di
fare la guardia. La famiglia infatti aveva avuto sentore che i
razzisti li avrebbero visitati. Uno degli uomini mascherati morì,
colpito dalla fucilata del ragazzo, e questo segnò la loro condanna.
Tanto è vero che, dopo un paio di notti, il KKK tornò con serie
intenzioni ma nel frattempo il capofamiglia, Perry Jeffers, era
fuggito con sei dei suoi figli. Imprudentemente, aveva lasciato in
casa la moglie e il figlio più piccolo, fidando sul fatto che i
razzisti non avrebbero fatto loro del male. E invece, il ragazzino fu
ucciso subito, fu ricoperto con la mobilia e gli fu dato fuoco,
mentre la madre fu appesa a un albero del cortile. Richiamato dagli
spari, accorse il loro vecchio padrone bianco, che abitava lì
vicino, che li usava come schiavi prima della guerra civile e che li
aveva sempre trattati umanamente. Il vecchio riuscì a salvare le
donna impiccata e a sottrarre alle fiamme il cadavere del ragazzino.
Perry Jeffers e gli altri sei ragazzi trovarono dapprima rifugio
presso uno sceriffo del posto, che a un certo punto, vista la marea
montante dell’odio, decise di far loro passare il confine e li fece
salire su un treno. Ma a una fermata salirono alcuni membri del KKK
che finirono l’opera trucidando il negro e i suoi sei ragazzi. La
loro colpa era solo quella di aver raggiunto una certa agiatezza
economica.
Un’ottantina d’anni dopo, nel triangolo della morte tra
Bologna, Modena e Reggio Emilia, alcuni partigiani che non volevano
saperne di deporre le armi, cominciarono a far fuori i possidenti
agricoli nell’intento di realizzare la rivoluzione comunista. Nelle
loro visioni farneticanti di una società socialista senza padroni,
Cornelio Ferrari, che il 9 ottobre del 1946 tornava in bicicletta da
una visita ai suoi poderi, era d’ostacolo e doveva essere
eliminato. E così altri “padroni”, il cui unico torto era quello
di essere proprietari di campi, frutteti, vigne e cascinali. Leggo a
pagina 299 de “Il sangue dei vinti” (Sperling & Kupfer,
2004): “Sino alla fine degli anni Quaranta, nella Bassa modenese la
terra continuò a restituire cadaveri, scoperti per caso dai
contadini o grazie a segnalazioni anonime ai carabinieri”. Il PCI
dell’epoca era a conoscenza delle esecuzioni sommarie, ma non
faceva nulla per fermare quegli assassini, tanto è vero che a un
certo punto dovette intervenire Togliatti in persona per rimproverare
i dirigenti comunisti della zona, sollecitandoli a porre fine a
quegli insensati eccidi che rovinavano la reputazione del partito.
Se nel primo caso di razzismo si trattava di bianchi suprematisti
che odiavano persone di colore, nel secondo caso si è trattato di
caucasici che uccidevano altri caucasici, sulla base di un’ideologia
nata nella mente di Marx ed Engels e in parte realizzata da Lenin e
Stalin con il massacro di milioni di oppositori. I partigiani
comunisti non ebbero dunque nemmeno la scusante di prendersela con
membri di una “razza” diversa, poiché riuscirono a vedere un
nemico di classe solamente sulla base delle loro idee politiche, con
un’astrazione degna dei manuali di psichiatria. Che differenza c’è
tra i razzisti anglosassoni della Carolina del sud e i partigiani
comunisti di Modena e Reggio?
Io ci vedo sempre lo stesso odio
insensato, la stessa patologia mentale, quella cosa che comunemente
viene chiamata razzismo. I partigiani – quei partigiani – si
comportarono come razzisti e questo spiega perché a Firenze c’è stato un corteo antifascista con molti negri che
gridavano “Basta razzismo” e molti bianchi che gridavano la
stessa cosa, senza rendersi conto, gli uni e gli altri,
schizofrenicamente, che i veri razzisti erano loro, con gli africani
giustificati dalla non conoscenza della nostra storia e i caucasici,
sedicenti antifascisti, meno giustificati e sicuramente un po’ più
colpevoli. Che si studiassero la storia d’Italia tra il 25 aprile
del 1945 e il gennaio del 1949, prima di sfilare in corteo gridando
“No al fascismo”!
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