mercoledì 11 marzo 2015

Anche le giornaliste libanesi, nel loro piccolo, s'incazzano



Non so come si dica in arabo hip hip hurrà. In ogni modo, hip hip hurra per Rima Karaki, giovane conduttrice televisiva libanese che ha cercato — appunto — di condurre un’intervista con un avvocatone islamista chiedendogli di stare nei tempi; ricevendone uno stizzito invito a non interromperlo; facendogli notare che era lei, in quello studio televisivo, a comandare; ricevendone sempre più irritate repliche; decidendo di chiudere la linea e passare ad altro, piuttosto che farsi dare ordini in casa propria. Levare la parola a un maschio, specie un maschio con barba così fluente, non è, in quei paraggi socio-culturali, una cosa scontata. Tanto è vero che l’avvocatone pareva letteralmente sgomento all’idea che una femmina potesse essere più determinata di lui e zittirlo, sia pure per richiamarlo ai tempi tecnici di un’intervista in diretta; e la scena sta facendo il giro del mondo, segnalata con lode da associazioni per i diritti e semplici utenti. Maschi come quello interrotto da Rima vivono nel terrore di essere interrotti. Sanno che, se accade una volta, se per un attimo perdono il controllo delle femmine, poi accadrà di nuovo e infine accadrà sempre. Sulla sottomissione della femmina si fonda ogni società arcaica. In un volto di donna che lavora, studia, parla e dice quello che vuole, milioni di maschi vedono la fine del proprio arbitrio. Per questo sono così spaventati, per questo così arrabbiati.

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