Fonte: Centro Destra
L’inno di Mameli non
è stato scritto per essere scimmiottato in uno stadio nel giorno in
cui 10 italiani sono stati barbaramente massacrati da degli incivili.
Lo cantavano i ragazzi che andavano a morire per l’amor di Patria e
per difendere l’Italia dall’invasore austriaco. Non ce l’ho
proprio fatta ad accendere la tv e sentire quell’inno, vedere uno
stadio pieno di gente con la mano destra sul cuore e con la sinistra
tenere una trombetta per strombazzare in caso di vittoria. Non è
quella la mia Italia.
Ho guardato il tg ieri
sera con tutti gli approfondimenti possibili sul massacro, ma poi
quando la giornalista ha detto: “adesso passiamo agli europei” mi
è salita la rabbia più assurda. Ho spento tutto e mi sono messo al
pc a scrivere quel post che avete letto, condiviso e commentato in
migliaia. E’ vero che la vita debba continuare, ma è pur vero che
in questi casi ci voglia il massimo rispetto. Qualcuno mi ha scritto
che è come quando muoiono i genitori e giustamente si dovrebbe
continuare a vivere. Gli ho risposto che è come se nel giorno dei
loro funerali un figlio andasse allo stadio con la trombetta.
Questione di sensibilità, delicatezza e dignità.
Gli italiani hanno un
milione di problemi, sono anche i miei problemi e c’è chi decide
di sfogare i propri istinti col calcio e chi preferisce fare altro.
Preferisco aprire un foglio bianco e scrivere su qualche riga quando
la rabbia mi diventa incontrollabile.
L’ultima volta che
ho visto la mia Italia orgogliosa di cantare quell’inno di Mameli è
stato il giorno dei funerali dei ragazzi di Nassiriya. Ricordo che
siamo rimasti ordinatamente in fila per intere giornate per rendere
omaggio al Vittoriano a quei ragazzi, morti per un attentato
terroristico. Ricordo i pub che chiudevano per rispetto, tanti
ragazzi e ragazze mollare tutto, prendere il tricolore e
mettersi in fila anche per 10 ore. In questi ultimi anni però,
qualcosa è cambiato, ci stiamo abituando agli attentati e li stiamo
normalizzando nella nostra mente. Preferiamo pensare ad altro, girare
la testa dall’altra parte.
L’ipocrisia ci porta
a pensare che tanto prima o poi succederà ma non a noi, toccherà
sempre agli altri. I fatti di Sesto Fiorentino dovrebbero farci
capire quanto siamo ormai ridotti a un territorio di conquista di
culture più forti e arroganti. Quando torno nel quartiere dove sono
cresciuto e dove per 5 anni ho fatto il consigliere, vedo scritte in
arabo, vedo la scuola Carlo Pisacane con uno striscione arabo e mi
viene l’angoscia. Quando in quello stesso quartiere, a 4-5
chilometri dal centro di Roma, ai microfoni de La7 sento dire che
farsi saltare in aria per Allah è cosa giusta, che la strage di
Charlie Hebdo è stata la giusta risposta a vignette provocatorie e
così via, è davvero troppo. Oppure sento dire che le donne devono
coprirsi per non provocare gli istinti animaleschi degli uomini, che
se le donne non si coprono gli uomini sono legittimati a violentarle.
Non è questione di
razzismo. Chi parla di razzismo e rievoca vecchi fantasmi lo fa solo
ed esclusivamente perché con queste cose ci lucra e ci tira fuori un
ricco stipendio. I fatti di cronaca delle ultime ore hanno svelato
una verità che tutti conoscevamo. C’è un giro di soldi sotto
l’immigrazione da far invidia ai migliori traffici di droga.
Nessuno di noi è razzista ma dobbiamo constatare che interi
quartieri stanno diventando dei ghetti fuori controllo. Dobbiamo
constatare che non si tratta di integrazione ma di occupazione lenta
e costante. Qualche tempo fa pubblicammo su centro-destra.it
la testimonianza di un italiano che viveva in Belgio e che
raccontava di come l’occupazione del quartiere abbia avuto inizio
dall’acquisto di una casa, poi di una palazzina e poi dell’intero
isolato. Quando poi il quartiere era diventato il loro, gli estranei
diventavano sgraditi e così le poche case rimaste venivano svendute.
In quei quartieri ora non si può entrare neanche con una telecamera,
come se fossero luoghi dove non vige la Costituzione Europea e le
leggi dello Stato sovrano.
Dobbiamo decidere se
voltarci dall’altra parte o riprenderci il nostro Paese. Per me è
benvenuto chiunque abbia voglia di integrarsi e sia pronto a
rispettarmi e a ottenere il giusto rispetto. Non sono tollerante
però, con chi mi entra in casa e mi mette i piedi sul tavolo.
Sono stanco delle
partite di calcio, della tv che vi riempie la testa di stronzate pur
di non farvi pensare. Una volta in tv c’erano le lezioni di cultura
e si insegnava la grammatica italiana. Adesso pur di inseguire
ascolti televisivi alti e introiti pubblicitari si abbassa il livello
riempendo la tv di telenovelas e programmi di intrattenimento che vi
tengono buoni e zitti davanti alla tv. Stesso discorso vale per la carta
stampata che cerca di piazzare più copie possibili.
Ho visto qualche mese
fa la mia Capitale, Roma salvata per un soffio dallo scioglimento per
mafia. Un’ondata di una cinquantina di arresti ma nessuno si è
mosso, nessuno è sceso in piazza. Pochi giorni dopo però, un’onda
di gente si è riversata all’aeroporto di Fiumicino per l’arrivo
di un giocatore, paralizzando lo scalo. Non so neanche chi fosse ma
queste cose mi fanno diventare nero. Perché avrei voluto vedere
quella folla paralizzare la città, proprio come fanno in Francia e
negli altri paesi civili. Ci sono delle persone che sono andate
regolarmente in pensione dopo una vita di sacrifici e per colpa della
legge Fornero non ricevono la pensione e sono costrette alla fame.
No, ma non è il caso di protestare, meglio pensare al circo del
calcio. Panem et circensem è l’espressione latina per descrivere
questo sistema millenario di controllo delle masse. Dare alla gente
il grano necessario per sopravvivere e gli spettacoli dei gladiatori
è stata per secoli la ricetta romana per il mantenimento dell’ordine
pubblico. Ha funzionato bene, finché non sono arrivati i barbari.
Quando le urla dei nostri vicini di casa, sgozzati perché infedeli,
copriranno le trombette degli stadi ci accorgeremo di cosa sta
avvenendo nelle nostre città. Solo allora potremo fare come gli
antichi romani: soccombere in silenzio.
Chissenefrega se 10
connazionali sono stati sgozzati come dei cani dai terroristi
islamici del Isis solo perché non conoscevano a memoria i versetti
del Corano. Noi italiani stasera abbiamo altro a cui pensare. Abbiamo
la partita contro la Germania. Dobbiamo credere nella Grande Italia
campione del mondo. Poi chissenefrega se gli italiani muoiono, se
interi quartieri della nostra Italia siano in mano agli islamici che
dettano legge e convertono le nostre scuole in moschee; chissenefrega se a Roma – Torpignattara qualcuno vada in giro a dire che
sia giusto morire per Allah e a farsi saltare in aria. Noi stasera
abbiamo altro di molto più importante da fare. Dobbiamo metterci in
piedi davanti alla tv con il pugno sul cuore a cantare l’inno.
L’inno di quei ragazzi che andavano a morire per difendere la
Patria, di quei giovani ventenni che lasciavano tutto per combattere
gli austriaci invasori. Chissà se da qualche parte del cielo vi
stiano guardando. Spero di no. Se sentirete piovere saranno i loro
sputi. Sono morti per un popolo di coglioni. Abbiamo gli invasori in
casa e stiamo guardando la partita. Stavolta non ho parole. Mi fermo
per non andare oltre. Sono schifato. Mettetevi la fascia al braccio,
quella sugli occhi l’avete già. Comunque andrà, l’Italia avrà
perso. Gli italiani avranno perso la propria dignità. Vi pensate che
in Europa la Germania smetterà di comandare perché avremo vinto una
partita? Dai dai, sta per iniziare la partita. Ohi, tutti a cantare mi
raccomando, siam pronti alla morte, l’Italia chiamò.
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