domenica 24 luglio 2016

Bomba o non bomba, arriveremo a Roma


Non si può, al chiuso, gridare “Allah Akbar” e, all'aperto “Fottuti turchi, a meno di non essere gravemente affetti da schizofrenia, oppure, come sono propenso a credere, manipolati mentali. Non può, un ragazzo di 18 anni, che all'epoca dei fatti ne aveva 13, far accadere la strage a cinque anni esatti di distanza dall'eccidio compiuto dal massone Breivik e già qui viene il sospetto che a mettere in moto il giovane manciuriano in quel giorno preciso sia stato qualcuno che lo dominava. Non si può interloquire con un cittadino qualunque dicendo di essere stato vittima di bullismo, né inviare un invito a venire a mangiare gratis al McDonald's per attirare le sue vittime nella trappola e soffrire, nel contempo, di depressione. Quando si è depressi non si ha voglia di uscir di casa – e in alcuni casi non si ha voglia di scendere dal letto – e a diramare quell'invito può essere stato chiunque, magari coloro che hanno ritagliato su Alì Sonboly la veste del pazzo solitario malato di depressione. Non si può, infine, avere sul comodino il libro dell'autore americano Peter Langman dal titolo “Perché i ragazzi uccidono”, a meno che non sia la stessa polizia a mettervelo. Niente di più facile.




Se stavolta i registi occulti non hanno voluto rimarcare la matrice islamica, presentando invece un assassino con problemi mentali, sulla scia del pilota tedesco Andreas Lubitz, è perché si è voluto dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Si è voluto che la diatriba tra filoislamici e islamofobi, tra fautori dell'accoglienza e respingitori di migranti, tra buoni cattocomunisti e malvagi xenofobi, continuasse, sì da portare la popolazione all'acme di una guerra civile. 


Dal mio punto di vista, la manipolazione di questo giovane oriundo iraniano è stata palese e grossolana. Inutile dire che gli ascoltatori di telegiornali si bevono tutto. Si bevono anche che il 18enne era in cura presso uno psichiatra e a nessuno viene in mente che sono proprio gli psichiatri a inserire i microchip nel cervello dei loro pazienti, a somministrare diabolici intrugli o dispositivi elettromagnetici volti a eliminare ogni libera volontà del paziente. Anche Kabobo, prima di entrare in azione con il suo piccone, era passato per le mani di uno psichiatra. Il connubio tra psichiatri e militari è da molto tempo saldo e indissolubile, perché lo scopo dei secondi è quello di ottenere il soldato perfetto e nessuno meglio dei primi può portare a questi risultati. Un soldato che non si fa scrupoli ad ammazzare donne e bambini è il massimo a cui gli eserciti di tutto il mondo possano aspirare. E così, di attentato in attentato (bomba o non bomba) l'Isis arriverà a Roma, come cantava Venditti.


3 commenti:

  1. Parzialmente in accordo, ma solo per quanto riguarda la manipolazione, di cui questo giovane sembra stato soggetto.
    Per quanto riguarda la depressione, sostenere che chi è depresso non mette piede fuor di letto, è una corbelleria, la depressione ha tante facce, ci sono anche i depressi esaltati con manie di protagonismo/megalomania/iperattività che son sempre invece pronti ad essere attivi.
    L'immagine del depresso sul letto che guarda il soffitto è una robetta da film.

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    1. Forse quella che dici tu è la sindrome bipolare, che alterna depressione ad iperattività.

      Comunque, né tu né io siamo medici. O devo parlare per me?

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