Mesi di indagine voluti dall’assessore comunale alla sicurezza Carmela Rozza e condotti dall’ufficio Uci, coordinato dal comandante Marco Ciacci, hanno
portato a chiarire, almeno in minima parte, la “nuova” figura dei
mendicanti africani con il cappellino. Si
tratterebbe di piccoli nuclei organizzati e coordinati. I questuanti
sarebbero in realtà molto spesso in Italia da anni, a volte con
permesso di soggiorno di lunga durata e un lavoro. Un
fenomeno che sta diffondendosi in numerose città del Nord Italia. A
Milano, quelli finiti sotto la lente della Polizia Locale, almeno
200, sarebbero tutti nigeriani sotto i trent’anni.
Chiedono soldi in centro,
davanti ai negozi e ai supermercati, agli angoli delle strade.
Affittano appartamenti in piccoli gruppi. Sarebbero
“supervisionati” da loro concittadini impegnati ad allontanare
eventuali altri questuanti come Rom e senzatetto e che inoltre
vigilerebbero sugli orari di “lavoro”: dalle 7 alle 14 almeno, a
volte fino alle 16. L’approfondimento
è durato sei mesi, fra pedinamenti, fotografie e mappatura della
città. I risultati sono stati depositati in procura nei giorni
scorsi. “Il profilo
dei giovani mendicanti che emerge è molto diverso da quello del
disperato”, scrive
Repubblica. “Molti dei
ragazzi sono in Italia da anni, hanno permesso di soggiorno di lunga
durata e un lavoro, spesso in nero. Alcuni parlano un buon italiano.
E c’è chi in Italia ha mogli e figli, regolarmente iscritti a
scuola.”
Il sospetto della polizia locale
è che i giovani nigeriani chiedano l’elemosina (da 30 a 50 euro a
testa ogni giorno) per pagare un debito. “Potrebbe
trattarsi delle spese del viaggio in Italia, per se stessi o per
altri“, azzarda un
investigatore parlando con Repubblica. Se
davvero ci sia un racket alla base dell’elemosina organizzata lo
stabilirà la procura di Milano. “In
tanti mesi di indagine, però, non si è mai riusciti a documentare
passaggi di denaro fra i semplici questuanti e i loro “coordinatori”.
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