sabato 24 febbraio 2018

Il marchio d’infamia che stronca la carriera di giornalista


Un miliardario ebreo canadese propose a Gorbacev di trasferire due milioni di ebrei russi in Israele e in cambio promise che il Congresso degli Stati Uniti avrebbe definito la Russia un “paese privilegiato”. Cosa ciò significasse a livello pratico non so, ma evidentemente Gorbacev accettò la proposta giudicandola positivamente. Come un cittadino canadese, benché miliardario, potesse decidere per il governo degli USA è un altro mistero intrigante. Ma la cosa curiosa di questo fatto ormai datato fu che l’unico giornalista a pubblicarlo su “Il sabato”, settimanale di Comunione e Liberazione, fu Maurizio Blondet. Il quale non sfuggì al giudizio del rabbino capo di Roma, Toaff, che gli appioppò il marchio di antisemita. Avere tale marchio è una iattura per un giornalista perché la carriera viene stroncata e nessuna redazione assume un tale professionista. Blondet aveva semplicemente scritto che due milioni di ebrei portati in Israele avrebbero fatto saltare gli equilibri sociali del territorio, anche se quella migrazione di massa non fu la cosa peggiore che gli ebrei fecero in seguito. Con l’operazione “Piombo fuso”, infatti, gli ebrei massacrarono centinaia di civili inermi all’interno della Striscia di Gaza, abitata da circa un milione e mezzo di persone, ma anche il solo fatto di denunciarlo (furono usate bombe al fosforo e altre armi proibite) avrebbe potuto costare a quanti lo avessero messo nero su bianco l’anatema di essere antisemiti. Che poi, per diventare cittadini di Israele si debba dimostrare di avere la madre e la nonna ebree, significa che il razzismo è certificato per legge e non è possibile naturalizzarsi israeliani se non si hanno tali requisiti. Anche qui, scriverlo fa sì che si diventi antisemiti. E poi, razzista è il giornalista che lo scrive.

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