Fonte: Greenreport
La
teoria centrale de “Il cancro del Pianeta”, scritto da Bruno
Sebastiani ed edito da Armando Editore, è che «La Terra è
ammalata di cancro e noi uomini siamo le cellule impazzite di questo
tumore. L’origine della malattia risiede nelle nostre accresciute
capacità cerebrali che nel corso dei secoli ci hanno spinti a
depredare il pianeta in modo sempre più violento». Un
saggio che ripercorre le tappe di questo processo, analizzando il
pensiero dei maggiori filosofi, uomini politici e scienziati
sull’argomento. Viene così enunciata per la prima volta in modo
organico la dottrina uomo = cancro del pianeta, sinora espressa solo
in modo sporadico e per lo più sotto forma di aforisma». Siamo
rimasti incuriositi da questo approccio che a prima vista non è
certo quello di greenreport.it, un quotidiano di economia ecologica
che è convinto che l’uomo abbia ancora le risorse intellettuali,
economiche e spirituali per salvare il pianeta in cui vive, per
questo abbiamo voluto intervistare Bruno Sebastiani, nato a Milano
nel 1949, laureato in scienze politiche con una tesi
sull’antiurbanesimo e che ha sviluppato i suoi studi in campo
sociologico e filosofico, dedicandosi in particolar modo ai problemi
dell’ambiente. Sebastiani, lasciata la città, vive in una casa ai
margini di un bosco a Calice Ligure. Ecco le nostre domande e le sue
risposte:
Non
le sembra un po’ esagerato definire la specie umana cancro del
Pianeta?
Indubbiamente
l’affermazione è un po’ forte. In un passo del libro, a pag. 25,
scrivo: “Il paragone è assolutamente forzato per tutta una serie
di elementi che non mi metto neppure ad elencare, tanto sono di per
sé evidenti. Ma ciononostante, come vedremo, anche le analogie sono
veramente tante, al punto da meritare una seria riflessione su ciò
che stiamo facendo e su dove stiamo andando.” Ecco, la definizione
che dà il titolo al libro va presa proprio in questi termini: forse
noi, io, lei e tutta l’umanità, non siamo cellule tumorali stricto
sensu, ma l’analogia, fondata su tutta una serie di similitudini
analiticamente descritte nel testo, giustifica la denominazione, la
quale, oltretutto, ha il pregio di avere un forte impatto mediatico e
di attirare l’attenzione del lettore. Questo è proprio l’obiettivo
che mi ero prefisso nello scrivere il saggio: attirare l’attenzione
dell’uomo comune sugli squilibri che la nostra specie ha provocato
in un tempo brevissimo ai danni di un ecosistema planetario stabile
da centinaia di milioni di anni. E, rispetto al pensiero di tanti
altri che hanno denunciato l’opera nefasta dell’uomo, io ho
tentato anche di individuare l’origine della “malattia”, la
cosiddetta “carcinogenesi”: per me essa risiede nell’abnorme
evoluzione subìta dal nostro cervello nella notte dei tempi. Poco
alla volta, senza che nessuno lo volesse, il nostro “organo di
comando” ha preso a crescere, sia dimensionalmente sia quanto a
“potenza elaborativa”, sino a quando è stato in grado di
contravvenire alle leggi di natura, di farci assumere comportamenti
“artificiali”. Abbiamo addomesticato il fuoco, abbiamo cominciato
a mangiare cibi cotti, a lavorare le pietre e così via, sino a
partorire le invenzioni che hanno reso possibili la rivoluzione
industriale e la nascita dell’informatica, dei computer, di
internet e così via. Il tutto ai danni degli altri esseri viventi,
piante e animali, che abbiamo sottomesso brutalmente proprio come
fanno le cellule tumorali nei confronti delle cellule sane nel corpo
dell’ammalato. E non è un’attività tumorale questa?
Se
il genere umano è simile a una cellula tumorale, come la si può
curare? E non è solo la stessa umanità che può curare sé stessa?
Non ogni strada
imboccata dall’evoluzione è favorevole al mantenimento della vita.
E quando la natura innesca – per motivi a noi ignoti, forse
unicamente dipendenti dal caso – un processo “destabilizzante”,
prima o poi tende a neutralizzarlo. In pratica attiva meccanismi
simili a quelli degli anticorpi che entrano in azione negli organismi
viventi per bloccare le aggressioni di virus e agenti patogeni
esterni. Ma in questo caso la lotta insorge tra organismi
contrapposti. Ciò che è accaduto alla nostra specie è diverso. Ci
siamo lentamente evoluti in modo tale da assumere comportamenti in
contrasto con quelli suggeriti dalla natura e, ciò che è peggio,
della nostra superiorità intellettuale abbiamo fatto un vanto, il
maggior vanto della nostra specie. Abbiamo persino scomodato presunti
esseri superiori per accreditare la legittimità del nostro
predominio sull’intero orbe terracqueo. Ora lei mi chiede: posto
che noi si sia cellule tumorali, chi può curarci se non noi stessi?
Potrei risponderle affermativamente, ma è la premessa il punto
debole della domanda. Io sono convinto che l’uomo sia il cancro del
pianeta, parecchi altri lo sono, ma la gran parte dell’umanità non
lo è. Come si può immaginare che l’uomo modifichi i propri
atteggiamenti distruttivi nei confronti dell’ambiente se in gran
maggioranza approva tali comportamenti e gode dei vantaggi che gli
procurano? Ecco dunque che il primo passo da compiere è quello di
rendere l’essere umano consapevole della sua opera nefasta nei
confronti della Natura. A tal fine ho già scritto un secondo saggio,
ancora inedito, dal titolo provvisorio de “Il Cancro del Pianeta
Consapevole”.
E se per un improbabile evento miracoloso l’intera
umanità si rendesse conto che il tanto decantato progresso l’ha
sospinta in un vicolo cieco, allora sarebbe possibile porre in atto
opportuni rimedi? Qui il discorso si fa complesso. L’uomo dovrebbe
ammettere che la sua superiorità intellettuale gli ha consentito di
scardinare i delicati equilibri della natura, ma non è tale da
consentirgli di ricrearli. Nel frattempo egli ha fatto tabula rasa
del vecchio stato di cose ed ha costruito un Impero basato sul
dominio della tecnica, che presto diverrà insostenibile per le
risorse del pianeta. Anche di fronte ad una consapevolezza globale
della gravità della situazione (del tutto ipotetica) sarebbe assai
difficile trovare la cura efficace. A tale argomento mi sto dedicando
in questi mesi nel terzo saggio che ho iniziato a scrivere (titolo
provvisorio: “L’Impero del Cancro del Pianeta”).
Il
suo libro vuole essere uno choc, un pugno nello stomaco per la grande
maggioranza inerte e consumista della popolazione, ma l’uomo può
essere solo un cancro o può riuscire a salvare da se stesso il
nostro pianeta? Credo di aver già
risposto in parte a questa domanda. La situazione è estremamente
aggrovigliata. Noi, uomini occidentali del ventunesimo secolo,
viviamo oggi all’apice della storia. Godiamo di immensi privilegi.
Ma cominciano le avvisaglie che la festa sta per finire. Sulle nostre
coste sbarca un esercito di diseredati che reclama anche per sé quel
benessere che ostentiamo spudoratamente dai teleschermi. Per secoli
abbiamo soggiogato non solo la natura, ma, con lo schiavismo e il
colonialismo, anche i nostri consimili, che ora vorrebbero por
termine a questo stato di cose. Dall’altra parte del mondo una
nazione immensa e sovrappopolata, la Cina, si è incamminata
anch’essa a passi rapidi sulla via dello sfruttamento intensivo
delle risorse naturali e del consumismo. Come si può pensare che il
nostro pianeta possa sopportare ancora a lungo un depauperamento così
intensivo della natura, livelli di inquinamento sempre crescenti,
cambiamenti climatici e surriscaldamento indotti in modo forsennato
dalle attività antropiche? È possibile modificare questo stato di
cose? L’intelligenza umana, che ci ha condotto all’apice della
storia ma anche sull’orlo del baratro, potrà salvare la vita sul
pianeta?
I fautori del progresso a tutti costi, che negano
l’emergenzialità della situazione (i cosiddetti “negazionisti”),
vogliono far credere che nuove scoperte, nuove invenzioni, ci
consentiranno di mantenere e di migliorare il nostro tenore di vita
(e poco importa se ciò avverrà ai danni della natura e degli altri
esseri viventi del pianeta, in gran parte già estinti a causa
nostra). La mia visione è opposta. L’uomo gode delle distruzioni
effettuate esattamente come le cellule cancerogene di un tumore
maligno possono godere del male arrecato alle parti sane
dell’organismo in cui vivono, sino a che l’organismo defunge e
con esso anche le cellule malate. Ecco, alla fine di tutto il pianeta
resterà senza forme di vita superiori, poi lentamente si riprenderà.
Se le condizioni ambientali poco alla volta, milione di anni dopo
milione di anni, torneranno ad essere favorevoli allo sviluppo della
vita, questa lentamente rinascerà, non sappiamo quando e in che
forma. Non sarà il nostro mondo, che avremo rovinato per sempre. Ma
non dobbiamo ritenerci tanto importanti e potenti da essere in grado
di impedire alla natura di riprendere il suo corso, e chissà che la
prossima volta si guardi bene da innescare quel processo maligno che
ha fatto del nostro cervello l’origine di tutti i mali.
Nessun commento:
Posta un commento