sabato 24 febbraio 2018

Il nostro encefalo, origine di tutti i mali


Fonte: Greenreport

La teoria centrale de “Il cancro del Pianeta”, scritto da Bruno Sebastiani ed edito da Armando Editore, è che  «La Terra è ammalata di cancro e noi uomini siamo le cellule impazzite di questo tumore. L’origine della malattia risiede nelle nostre accresciute capacità cerebrali che nel corso dei secoli ci hanno spinti a depredare il pianeta in modo sempre più violento». Un saggio che ripercorre le tappe di questo processo, analizzando il pensiero dei maggiori filosofi, uomini politici e scienziati sull’argomento. Viene così enunciata per la prima volta in modo organico la dottrina uomo = cancro del pianeta, sinora espressa solo in modo sporadico e per lo più sotto forma di aforisma». Siamo rimasti incuriositi da questo approccio che a prima vista non è certo quello di greenreport.it, un quotidiano di economia ecologica che è convinto che l’uomo abbia ancora le risorse intellettuali, economiche e spirituali per salvare il pianeta in cui vive, per questo abbiamo voluto intervistare Bruno Sebastiani, nato a Milano nel 1949, laureato in scienze politiche con una tesi sull’antiurbanesimo e che ha sviluppato i suoi studi in campo sociologico e filosofico, dedicandosi in particolar modo ai problemi dell’ambiente. Sebastiani, lasciata la città, vive in una casa ai margini di un bosco a Calice Ligure. Ecco le nostre domande e le sue risposte: 



Non le sembra un po’ esagerato definire la specie umana cancro del Pianeta?
Indubbiamente l’affermazione è un po’ forte. In un passo del libro, a pag. 25, scrivo: “Il paragone è assolutamente forzato per tutta una serie di elementi che non mi metto neppure ad elencare, tanto sono di per sé evidenti. Ma ciononostante, come vedremo, anche le analogie sono veramente tante, al punto da meritare una seria riflessione su ciò che stiamo facendo e su dove stiamo andando.” Ecco, la definizione che dà il titolo al libro va presa proprio in questi termini: forse noi, io, lei e tutta l’umanità, non siamo cellule tumorali stricto sensu, ma l’analogia, fondata su tutta una serie di similitudini analiticamente descritte nel testo, giustifica la denominazione, la quale, oltretutto, ha il pregio di avere un forte impatto mediatico e di attirare l’attenzione del lettore. Questo è proprio l’obiettivo che mi ero prefisso nello scrivere il saggio: attirare l’attenzione dell’uomo comune sugli squilibri che la nostra specie ha provocato in un tempo brevissimo ai danni di un ecosistema planetario stabile da centinaia di milioni di anni. E, rispetto al pensiero di tanti altri che hanno denunciato l’opera nefasta dell’uomo, io ho tentato anche di individuare l’origine della “malattia”, la cosiddetta “carcinogenesi”: per me essa risiede nell’abnorme evoluzione subìta dal nostro cervello nella notte dei tempi. Poco alla volta, senza che nessuno lo volesse, il nostro “organo di comando” ha preso a crescere, sia dimensionalmente sia quanto a “potenza elaborativa”, sino a quando è stato in grado di contravvenire alle leggi di natura, di farci assumere comportamenti “artificiali”. Abbiamo addomesticato il fuoco, abbiamo cominciato a mangiare cibi cotti, a lavorare le pietre e così via, sino a partorire le invenzioni che hanno reso possibili la rivoluzione industriale e la nascita dell’informatica, dei computer, di internet e così via. Il tutto ai danni degli altri esseri viventi, piante e animali, che abbiamo sottomesso brutalmente proprio come fanno le cellule tumorali nei confronti delle cellule sane nel corpo dell’ammalato. E non è un’attività tumorale questa?

Se il genere umano è simile a una cellula tumorale, come la si può curare? E non è solo la stessa umanità che può curare sé stessa?
Non ogni strada imboccata dall’evoluzione è favorevole al mantenimento della vita. E quando la natura innesca – per motivi a noi ignoti, forse unicamente dipendenti dal caso – un processo “destabilizzante”, prima o poi tende a neutralizzarlo. In pratica attiva meccanismi simili a quelli degli anticorpi che entrano in azione negli organismi viventi per bloccare le aggressioni di virus e agenti patogeni esterni. Ma in questo caso la lotta insorge tra organismi contrapposti. Ciò che è accaduto alla nostra specie è diverso. Ci siamo lentamente evoluti in modo tale da assumere comportamenti in contrasto con quelli suggeriti dalla natura e, ciò che è peggio, della nostra superiorità intellettuale abbiamo fatto un vanto, il maggior vanto della nostra specie. Abbiamo persino scomodato presunti esseri superiori per accreditare la legittimità del nostro predominio sull’intero orbe terracqueo. Ora lei mi chiede: posto che noi si sia cellule tumorali, chi può curarci se non noi stessi? Potrei risponderle affermativamente, ma è la premessa il punto debole della domanda. Io sono convinto che l’uomo sia il cancro del pianeta, parecchi altri lo sono, ma la gran parte dell’umanità non lo è. Come si può immaginare che l’uomo modifichi i propri atteggiamenti distruttivi nei confronti dell’ambiente se in gran maggioranza approva tali comportamenti e gode dei vantaggi che gli procurano? Ecco dunque che il primo passo da compiere è quello di rendere l’essere umano consapevole della sua opera nefasta nei confronti della Natura. A tal fine ho già scritto un secondo saggio, ancora inedito, dal titolo provvisorio de “Il Cancro del Pianeta Consapevole”. 

E se per un improbabile evento miracoloso l’intera umanità si rendesse conto che il tanto decantato progresso l’ha sospinta in un vicolo cieco, allora sarebbe possibile porre in atto opportuni rimedi? Qui il discorso si fa complesso. L’uomo dovrebbe ammettere che la sua superiorità intellettuale gli ha consentito di scardinare i delicati equilibri della natura, ma non è tale da consentirgli di ricrearli. Nel frattempo egli ha fatto tabula rasa del vecchio stato di cose ed ha costruito un Impero basato sul dominio della tecnica, che presto diverrà insostenibile per le risorse del pianeta. Anche di fronte ad una consapevolezza globale della gravità della situazione (del tutto ipotetica) sarebbe assai difficile trovare la cura efficace. A tale argomento mi sto dedicando in questi mesi nel terzo saggio che ho iniziato a scrivere (titolo provvisorio: “L’Impero del Cancro del Pianeta”).

Il suo libro vuole essere uno choc, un pugno nello stomaco per la grande maggioranza inerte e consumista della popolazione, ma l’uomo può essere solo un cancro o può riuscire a salvare da se stesso il nostro pianeta? Credo di aver già risposto in parte a questa domanda. La situazione è estremamente aggrovigliata. Noi, uomini occidentali del ventunesimo secolo, viviamo oggi all’apice della storia. Godiamo di immensi privilegi. Ma cominciano le avvisaglie che la festa sta per finire. Sulle nostre coste sbarca un esercito di diseredati che reclama anche per sé quel benessere che ostentiamo spudoratamente dai teleschermi. Per secoli abbiamo soggiogato non solo la natura, ma, con lo schiavismo e il colonialismo, anche i nostri consimili, che ora vorrebbero por termine a questo stato di cose. Dall’altra parte del mondo una nazione immensa e sovrappopolata, la Cina, si è incamminata anch’essa a passi rapidi sulla via dello sfruttamento intensivo delle risorse naturali e del consumismo. Come si può pensare che il nostro pianeta possa sopportare ancora a lungo un depauperamento così intensivo della natura, livelli di inquinamento sempre crescenti, cambiamenti climatici e surriscaldamento indotti in modo forsennato dalle attività antropiche? È possibile modificare questo stato di cose? L’intelligenza umana, che ci ha condotto all’apice della storia ma anche sull’orlo del baratro, potrà salvare la vita sul pianeta? 

I fautori del progresso a tutti costi, che negano l’emergenzialità della situazione (i cosiddetti “negazionisti”), vogliono far credere che nuove scoperte, nuove invenzioni, ci consentiranno di mantenere e di migliorare il nostro tenore di vita (e poco importa se ciò avverrà ai danni della natura e degli altri esseri viventi del pianeta, in gran parte già estinti a causa nostra). La mia visione è opposta. L’uomo gode delle distruzioni effettuate esattamente come le cellule cancerogene di un tumore maligno possono godere del male arrecato alle parti sane dell’organismo in cui vivono, sino a che l’organismo defunge e con esso anche le cellule malate. Ecco, alla fine di tutto il pianeta resterà senza forme di vita superiori, poi lentamente si riprenderà. Se le condizioni ambientali poco alla volta, milione di anni dopo milione di anni, torneranno ad essere favorevoli allo sviluppo della vita, questa lentamente rinascerà, non sappiamo quando e in che forma. Non sarà il nostro mondo, che avremo rovinato per sempre. Ma non dobbiamo ritenerci tanto importanti e potenti da essere in grado di impedire alla natura di riprendere il suo corso, e chissà che la prossima volta si guardi bene da innescare quel processo maligno che ha fatto del nostro cervello l’origine di tutti i mali.

Nessun commento:

Posta un commento