“Un signore di Scandicci buttava le castagne e mangiava i ricci”; è l’incipit della famosa filastrocca di Gianni Rodari. Io ho due tartarughe terrestri, una delle quali mangiava le foglie e buttava le fragoline. A questo punto devo aprire una parentesi. A conferma della mia ignoranza delle cose naturali, quella che ho sempre considerato la Fragaria vesca, cioè la fragolina di bosco, bella ma insapore, era probabilmente, in realtà, la Potentilla indica, detta anche falsa fragola. Solo ora vengo a saperlo, grazie alle mie tartarughe rodariane. Poco male, ma resta da sapere se le enormi fragole che compriamo al supermercato, nelle loro vaschette incellofanate, siano il risultato di incroci e selezioni operati dagli agricoltori, partendo dalla fragolina selvatica. Francamente non saprei, e ora non ho il tempo materiale di fare una ricerca in proposito. Se così fosse, non mi meraviglierei, se penso che lo Zea mais in natura, cioè in Sudamerica, è una piccola pannocchietta insignificante, resa però dai contadini occidentali quel mostro che tutti conosciamo. Così può essere andata con le fragole! Tornando alle tartarughe, che ho da poco e che sto tenendo monitorate sul cibo che mangiano, al momento posso dire quali sono quelli che gradiscono e quali hanno finora snobbato. Tarassaco, mela e lattuga verde, sì. Radicchio rosso, banana e cetriolo, no! Sarà stato perché non avevano fame, o perché erano troppo impegnate ad esplorare i contenitori nei quali le tengo, ma aver tralasciato verdure e frutta che ogni brava tartaruga terricola mangia normalmente, è stata una loro scelta, e quindi non mi preoccupo. Ora voglio provare con il trifoglio, come suggerito da un manuale che ho finito proprio stanotte di leggere: “Tartarughe e tartarughine”, di Dauner e Vaini. Ho parlato di contenitori al plurale. Ebbene, approfittando di queste belle giornate soleggiate, e sapendo quanto importante siano per le tartarughe in particolare, e per i rettili in generale, i cosiddetti bagni di sole, a metà mattinata le trasferisco, portandole in mano, in una gabbia che rimane all’aperto giorno e notte, con una mezza corteccia sul fondo, che fornisca ombra quando ne sentano il bisogno, mentre la sera le riporto nel terrario che sarà la loro casa durante l’inverno, dotato di due lampade: a raggi infrarossi per fornire calore e a raggi ultravioletti per sostituire i benefici raggi del sole.
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