lunedì 1 luglio 2013

Trilogia della Matrice




Fonte: Aria Nuova


«È tutta la vita che hai la sensazione che ci sia qualcosa che non quadra nel mondo — non sai bene di che si tratta, ma l’avverti. È un chiodo fisso nel cervello, da diventarci matto. Matrix è ovunque, intorno a noi. È quello che vedi quando ti affacci alla finestra, o quando accendi il televisore. L’avverti quando vai al lavoro, quando vai in chiesa, quando paghi le tasse. È il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi per nasconderti la verità.
La verità è che tu sei uno schiavo, come tutti gli altri sei nato in catene, sei nato in una prigione che non ha sbarre, non ha mura, non ha odore, una prigione per la tua mente. Nessuno di noi è in grado, purtroppo, di descrivere che cosa è Matrix agli altri. Dovrai scoprire con i tuoi occhi che cos’è».

Così Morpheus a Neo, nell’ormai mitica scena del loro primo incontro. Morfeo, che nella mitologia greca è colui che sottrae gli uomini alla fatica della veglia e li immerge nel piacere dell’oblio, in Matrix è — neanche tanto paradossalmente — colui che desta dall’incubo di un’esistenza fasulla, architettata con diabolica perversione. Giacché, nella mistica indiana, il “sonno profondo” (sushupti) viene considerato espressione di uno stato di coscienza più reale del cosiddetto “stato di veglia” (jâgrat). Morfeo, in quest’accezione, rappresenta colui che conduce in una dimensione d’essere più profonda e più vera, poiché spoglia di tutti quegli abiti menzogneri che ci vengono messi addosso dalla risibile decenza della nostra esistenza ordinaria.
Secondo il semiologo Ugo Volli, Matrix «è una metafora perfettamente sostenibile. Noi già viviamo una vita delegata e rappresentata dai mezzi di comunicazione, per buona parte del giorno siamo inscatolati davanti alla televisione, in perenne addormentamento e con un effetto onirico permanente».

Siamo schiavi delle apparenze, della meccanica, del caos — in breve, siamo asserviti a un sistema soffocante che si nutre di noi. Accecati dalla stupidità dilagante, non sappiamo scorgere l’essenza delle cose. Giacché, se sapessimo vedere per davvero, ci batteremmo — come Neo — per distruggere la falsità e fare così emergere la vera realtà del mondo, libera, senza leggi, senza stonature, senza deformazioni.
«Nessuno è più schiavo di chi si ritiene libero senza esserlo», diceva Goethe.

E Neo, in conclusione del film, dopo aver preso pienamente coscienza della vera natura della libertà — interiore ed esteriore al tempo stesso —, lancia una sfida alle forze avverse che tengono l’umanità in catene:

«So che mi state ascoltando. Avverto la vostra presenza. So che avete paura di noi, paura di cambiare. Io non conosco il futuro, non sono venuto a dirvi come andrà a finire; sono venuto a dirvi come comincerà. Adesso… farò vedere a tutta questa gente quello che non volete che vedano. Mostrerò loro un mondo senza di voi. Un mondo senza regole e controlli, senza frontiere e confini. Un mondo in cui TUTTO È POSSIBILE».

Matrix è ideologicamente vicino alla “fine della storia” teorizzata da Francis Fukuyama. E, in
modo ancor più sorprendente, Matrix può essere considerato una trasposizione cinematografica assai suggestiva del Lavoro di trasformazione della materia intrapreso da Sri Aurobindo e Mère, così come documentato nei tredici volumi dell’Agenda di Mère.
Purtroppo, il sequel Matrix Reloaded è tanto misero quanto l’altro è geniale. Per fortuna il primo lungometraggio era stato concepito dai due registi con un suo preciso finale, sicché è possibile estrapolarlo dalla trilogia e considerarlo come cosa a sé stante, altrimenti tutto il suo valore e la sua forza risulterebbero falsati e completamente scaduti dal prosieguo dell’azione in Matrix Reloaded e, sia pur in misura minore, in Matrix Revolutions. L’abisso, infatti, è enorme: in Matrix tutto funziona a meraviglia: sia i dialoghi, così misurati e ricchi di suggestioni, sia l’azione, ove perfino la violenza (purtroppo così gratuitamente abusata nel cinema degli ultimi anni) e gli effetti speciali (qui davvero affascinanti e innovativi) hanno un loro preciso senso e non creano affatto sbavature, ma contribuiscono anzi a conferire al film quel senso di eccezionalità che ovunque nel mondo gli spettatori hanno avvertito, e che lo ha reso giustamente celebre. Ogni scena è calibrata con precisione millimetrica, nulla è lasciato al caso e tutto (perfino i dettagli più apparentemente insignificanti) tende a mostrarci una realtà più grande, qualcosa di radicalmente altro di ciò che crediamo e che ci hanno fatto credere.

In Matrix Reloaded, per contro, tutto è banale, già visto, volgare, tendente a creare la solita scarica di adrenalina nelle scene d’azione (troppo inverosimili per essere davvero efficaci), e ad annoiare mortalmente nei lunghi dialoghi inconcludenti e iper-cerebrali (disordinato miscuglio fra pensieri new-age in declino e grossolani delirî intellettualoidi), arrivando spesso a oltrepassare la soglia del ridicolo.

Matrix Revolutions vola un po’ più in alto rispetto al secondo film, ma non arriva neanche lontanamente alle altezze raggiunte dal primo.
Ciò che maggiormente rende ridicoli i due sequels, non è tanto il vedere come i “risvegliati” della città di Zion vengano rappresentati come dei perfetti invasati, per giunta animati dalle medesime lotte di potere degli uomini-robot, ma l’abissale frattura e la sconcertante discrepanza esistenti fra la fine del primo cortometraggio e l’improbabile prosieguo della vicenda. Neo, in conclusione del primo film, riesce a entrare nell’agente Smith e a farlo esplodere, dimostrando di sapere distruggere la grande Meccanica dal di dentro, senza più bisogno di combattere: il Guerriero si trasforma in Mago e, perciò, depone la spada, perché non gli serve più: non ha più alcun bisogno di combattere contro i suoi nemici — li dissolve, li neutralizza con un semplice sguardo, li brucia con il fuoco della forza creatrice che lo anima. E invece, ecco l’agente Smith fare la sua ricomparsa nella seconda pellicola, come se nulla fosse, mentre Neo è costretto nuovamente a combatterlo facendo ricorso alle arti marziali e a tutti i possibili artifici che aveva ormai abbondantemente superato!

Insomma, in tutta sincerità avremmo preferito non vedere questi due sequels, e lasciare libero volo all’immaginazione nel tentare di cogliere le gesta di Neo dal momento del suo proprio volo, in cui lancia la sfida di cui sopra, creando un “system failure” in quel programma che fa vivere gli uomini come burattini inconsapevoli. E così faremo certamente, rimuovendo il brutto seguito creato dai fratelli Wachowski, i quali hanno voluto strafare, rovinando malamente nel cattivo gusto e nella mistificazione più gretta.

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