lunedì 1 luglio 2013

Il Paradiso esiste, forse

  


In Kirghisia nessuno lavora più di 3 ore al giorno e il resto del tempo lo dedichiamo alla vita. Quando un qualsiasi cittadino compie 18 anni gli viene regalata un a casa.
E se qualcuno desidera fare l’amore, mette un piccolo fiore azzurro sul petto in modo che tutti lo sappiano. La corruzione politica si è azzerata perché in questo Paese chi appartiene all’apparato governativo esercita il proprio ruolo in forma di “volontariato”, semplicemente continuando a mantenere per tutta la durata del mandato politico lo stesso stipendio che percepiva nella sua precedente attività.
Quando ho saputo che ogni realtà politica nasce da una forma di volontariato, ho finalmente capito perché, ogni volta che vedo un rappresentante del parlamento italiano parlare alla televisione, c’è qualcosa sul suo volto che rivela un’incolmabile lontananza da ciò che sta dicendo.


Qui in Kirghisia, la possibilità di dedicare quotidianamente alla vita almeno mezza giornata ha consentito la realizzazione di rapporti completamente nuovi tra padri e figli, tra colleghi di lavoro e vicini di casa. Finalmente i genitori hanno il tempo di conoscersi veramente tra loro e di frequentare i propri figli.
I parchi sono ogni giorno ricolmi di persone e il traffico stradale è oltre quattro volte inferiore, dato il variare degli orari di lavoro.

Le fabbriche sono in attività produttiva continua, ma chi fa i turni di notte lavora solo due ore. Già al terzo anno di questa singolare esperienza è stato rilevato un fenomeno molto importante. Il consumo di droghe, sigarette, alcolici è diminuito in modo quasi totale e i farmaci rimangono in gran parte invenduti.

Certo, tutto ciò può sembrare incredibile a chi, come voi cari amici, è costretto a credere che l’attuale organizzazione dell’esistenza in occidente sia la sola possibile.

In Kirghisia, la gestione dello Stato, oltre a essere una forma di volontariato, si esprime in
due governi, uno si occupa della gestione quotidiana della cosa pubblica, l’altro si dedica esclusivamente al miglioramento delle strutture.
Ho fatto bene a decidere di rimanere in Kirghisia, e non me ne andrò finché continuerò ad avere questa strana sensazione di vivere, qui, all’interno di un sogno comune.

Voglio vivere la seconda metà della vita tra questa gente serena, capace di ridare a ognuno il senso della sua preziosità. In fondo è l’unica vita che ho. Né ormai vi scriverò più. Sapete abbastanza della Kirghisia per informare chiunque che “esiste, nel mondo, il primo Paese in grado di offrire all’essere umano ogni attenzione e rispetto”.

Ma, a chi dirlo? Al vento, forse, che porti ovunque queste riflessioni, quasi fossero la voce stessa della natura.


Tratto dal volume:
Lettere dalla Kirghisia, Edizioni L'Immagine, Roma, 2005


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