Debbo confessare di
essermi messo alla tastiera con un po’ di pudore. La vicenda di
Silvio Pauselli, mugnaio di 57 anni di Contigliano, morto suicida nel
Salto perché non ha retto all’affronto di vedere il suo mulino
messo all’asta, richiede innanzitutto questo. Se non altro per far
fronte al sentimento di panico mosso dall’impossibilità di fare
qualcosa, di rimediare. Un modo per affrontare il senso di impotenza,
di rabbia inetta provocato da questa storia. Se non avesse fatto
una scelta estrema, di Silvio non sapremmo nulla. E in fondo anche
adesso ne sappiamo troppo poco. Sembra emergere la vicenda di un uomo
con alle spalle anni di vita faticosa e alla fine ingrata. E che
forse ha scelto la morte perché gli faceva meno paura dell’agonia,
di un trascinarsi per anni in un contesto studiato per portarti via
una cosa dopo l’altra.
«Anche la vita di
Silvio è stata venduta all’asta», hanno scritto i suoi amici
contadini del Mercato Contadino. E allora la soluzione finale del
mugnaio potrebbe essere interpretata come un atto d’accusa: contro
uno Stato indifferente ai deboli, contro il primato del debito
economico sulla vita, contro gli scenari di un’austerità priva di
umanità. Ma insieme sembra
esserci dell’altro. Forse questa morte è anche il grido disperato
di un mondo, una cultura, un modo di fare che non si rassegna a
scomparire, ad essere definitivamente cancellato dalle logiche
“globali” dei nostri anni. Non a caso amici e
colleghi di Silvio si sono appellati al Sindaco del Comune di
Contigliano affinché non vengano consentiti cambi di destinazione
d’uso del mulino. Perché la macina della speculazione trovi un
limite nella necessaria conservazione di quella del grano.
La pretesa è buona,
giusta, addirittura poetica, ma non può contentarsi della propria
eventuale riuscita: c’è anche la necessità di superare il rischio del museo, della
memoria morta; c’è da vincere la scommessa di una conservazione
fondata sull’uso e non sulla nostalgia. Un compito enorme,
perché la maggior parte di noi rimane assuefatta ad altri stili di
vita. Tutti sentiamo il fascino di trascorrere il tempo in armonia col
pianeta, il gusto di riscoprire i sapori autentici del cibo, il
desiderio di riappropriarci della manualità e del contatto con la
terra.
Ma per il momento il nostro quotidiano è un’altra cosa, ed
infatti per lo più acquistiamo la farina industriale del
supermercato. Poi è vero:
assistiamo alla crescita di movimenti per un’altra economia, per un
modo di vivere più “umano”, e i mercati a km zero spuntano come
funghi. Ma i grandi numeri sono ancora tutti da un’altra parte e la
strada è lunga da fare. «La rivoluzione deve
cominciare in interiore homine – ha scritto uno che certe cose le
capiva bene – occorre che la gente impari a non muoversi, a non
collaborare, a non produrre, a non farsi nascere bisogni nuovi, e
anzi a rinunziare a quelli che ha». È bello a dirsi, ma è
meglio non farsi facili illusioni, perché hanno un prezzo davvero
alto.
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