martedì 7 luglio 2015

I fiori di Bacò


Edward Bach, per produrre quelli che sarebbero passati alla storia come i fiori che da lui hanno preso il nome, aveva due metodi: la solarizzazione e la bollitura. Nel primo caso, si prendevano le corolle e le si mettevano in un recipiente d'acqua pura posto all'aperto in una giornata di sole senza nuvole, per tre o quattro ore, mentre nel secondo, più sbrigativo, le si faceva bollire per mezzora. Il liquido ottenuto si chiama “tintura madre” e deve essere sottoposto a diluizione, ovvero, se non ho capito male alla conferenza di lunedì 6 luglio, tenutasi a Codroipo, per ogni due gocce di tintura si aggiungono due cucchiaini di brandy. Siccome Edward Bach era inglese, mi viene da pensare che se fosse stato friulano magari metteva grappa o vino al posto del brandy e, in tal caso, magari, l'essenza ottenuta si sarebbe chiamata “Fiori di Bacò”. Scherzi a parte, la scienza dei Fiori di Bach, così com'è stata egregiamente spiegata dalla naturopata Ivana Piazza, che vediamo in foto, da quando fu inizialmente formulata ha avuto una grande evoluzione, si è affiancata alle altre cure naturali ed è utilizzata in tutto il mondo occidentale.



Già mentre era in vita, Bach passò dai primi tre fiori da lui studiati, Impatiens, Mimulus e Clematis, ai 38 descritti poco prima di morire alla giovane età di 50 anni, passando per i 12 che in un suo libro chiamò “i dodici guaritori”, a cui si aggiunsero “i sette aiutanti”. I 12 guaritori erano: Rock Rose per sopire il panico; Mimulus per la paura; Cerato per l'ignoranza; Scleranthus per l'indecisione; Gentian per il dubbio; Water Violet per il dolore; Impatiens per l'impazienza; Agrimony per l'irrequietezza; Chicory per la costrizione; Vervain per il fanatismo; Clematis per l'indifferenza e Centaury per la debolezza. Mentre Ivana Piazza, avvalendosi di diapositive, spiegava le virtù terapeutiche di questi e di altri fiori, io pensavo: “Ecco, questo fa per me!”. E pensavo la stessa cosa di tutti. Mi capitava cioè quello che capita agli ipocondriaci quando leggono un libro di medicina. Questo forse succede perché a tutti noi è capitato prima o poi di provare il panico, la paura, di sentirsi ignoranti o impazienti e dubbiosi, tutte cose che fanno parte della vita e che non avrebbero bisogno di essere curate, a meno che non superino certi livelli.

Bach, vissuto a cavallo dei secoli Diciannovesimo e Ventesimo, aveva capito, come molti altri medici rimasti inascoltati, che va curato il paziente nella sua integrità, piuttosto che la sua malattia. Curato il paziente, in base alla visione olistica che anche Bach aveva, si cura automaticamente anche la malattia. Egli arrivò a questa conclusione a causa di una sua diretta esperienza con una malattia mortale. Una forte emorragia dovuta a un cancro alla milza, portò i suoi colleghi medici a diagnosticargli solo tre mesi di vita, che lui impiegò dedicandosi entusiasticamente ai suoi studi di laboratorio, essendo all'epoca un valente batteriologo. Com'era facile prevedere, Bach superò i fatidici tre mesi, non si fece prendere dal panico e attribuì la regressione del carcinoma all'entusiasmo e al fatto di dedicarsi alle attività preferite. 

Qualche decennio più tardi, il tedesco Gerd Hammer avrebbe spiegato che è la paura coltivata nella mente del soggetto a far aggravare la patologia, benché nel caso di Bach, l'appuntamento fatale con la morte si sarebbe presentato 19 anni più tardi, nel 1936, quando lo stesso cancro si risvegliò portandolo alla tomba. Morì nel sonno, con la soddisfazione di aver portato a termine lo scopo per cui era venuto al mondo. La differenza fra il medico inglese e quello tedesco è che il primo fu acclamato come luminare della scienza, con il solo difetto che negli ultimi anni di vita si dedicò, con rammarico di colleghi e pazienti, alla sua antica passione: i fiori e la natura in genere, mentre il secondo fin dall'inizio fu inviso al sistema farmaceutico che tuttora domina le vite delle persone, forse perché nel frattempo le industrie del farmaco si erano accorte che le medicine naturali gli portavano via migliaia di pazienti. E questo, per chi basa la propria sopravvivenza sul business della malattia, era inaccettabile. All'epoca di Bach, le multinazionali del farmaco non avevano ancora quel potere che hanno assunto nei decenni seguenti e non vedevano alcun pericolo nelle bizzarrie di un amante della natura.

Di fatto, al giorno d'oggi, anche i fiori di Bach non sono accettati dalla scienza medica ufficiale, al pari dell'omeopatia, dell'agopuntura, della Nuova Medicina Germanica, della Terapia Gerson, del metodo Simoncini e, meno che mai, della pranoterapia. Le cause dell'insorgenza delle malattie non devono essere rimosse, perché ciò farebbe diminuire gli introiti di Bigpharma e forse anche collassare l'intero sistema sanitario occidentale. Alle cure naturali, in genere più costose, si rivolge quella nicchia di utenti danarosi che hanno adottato uno stile di vita armonioso e in sintonia con la natura, magari diventando vegani. Le industrie farmaceutiche per ora reggono il colpo, ma ultimamente sferrano campagne mediatiche menzognere, sul genere della guerra psicologica, demonizzando chi ha eliminato carne e derivati animali dalla propria dieta. Se questo è un danno per le masse, che continuano stolidamente a ingozzarsi di cadaveri, ci da però almeno la soddisfazione di sapere che i potenti Untori del farmaco sentono un po' di nervosismo. Hammer è finito in prigione, come la coppia di genitori vegani è finita sotto inchiesta pochi giorni fa, accusata di non nutrire a sufficienza il figlio. Edward Bach riposa in pace, soddisfatto di aver indicato la via, impersonando il ruolo del precursore. Il grosso del lavoro su noi stessi, in tema di consapevolezza, deve ancora essere fatto. Eliminare carne e derivati di origine animale sarebbe buona cosa, come lo sono le essenze floreali di Bach. A ciascuno la sua scelta.

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