Edward Bach, per
produrre quelli che sarebbero passati alla storia come i fiori che da
lui hanno preso il nome, aveva due metodi: la solarizzazione e la
bollitura. Nel primo caso, si prendevano le corolle e le si mettevano
in un recipiente d'acqua pura posto all'aperto in una giornata di
sole senza nuvole, per tre o quattro ore, mentre nel secondo, più
sbrigativo, le si faceva bollire per mezzora. Il liquido ottenuto si
chiama “tintura madre” e deve essere sottoposto a diluizione,
ovvero, se non ho capito male alla conferenza di lunedì 6 luglio,
tenutasi a Codroipo, per ogni due gocce di tintura si aggiungono due
cucchiaini di brandy. Siccome Edward Bach era inglese, mi viene da
pensare che se fosse stato friulano magari metteva grappa o vino al
posto del brandy e, in tal caso, magari, l'essenza ottenuta si
sarebbe chiamata “Fiori di Bacò”. Scherzi a parte, la scienza
dei Fiori di Bach, così com'è stata egregiamente spiegata dalla
naturopata Ivana Piazza, che vediamo in foto, da quando fu
inizialmente formulata ha avuto una grande evoluzione, si è
affiancata alle altre cure naturali ed è utilizzata in tutto il
mondo occidentale.
Già mentre era in
vita, Bach passò dai primi tre fiori da lui studiati, Impatiens,
Mimulus e Clematis, ai 38 descritti poco prima di morire alla giovane
età di 50 anni, passando per i 12 che in un suo libro chiamò “i
dodici guaritori”, a cui si aggiunsero “i sette aiutanti”. I 12
guaritori erano: Rock Rose per sopire il panico; Mimulus per la
paura; Cerato per l'ignoranza; Scleranthus per l'indecisione; Gentian
per il dubbio; Water Violet per il dolore; Impatiens per
l'impazienza; Agrimony per l'irrequietezza; Chicory per la
costrizione; Vervain per il fanatismo; Clematis per l'indifferenza e
Centaury per la debolezza. Mentre Ivana Piazza, avvalendosi di
diapositive, spiegava le virtù terapeutiche di questi e di altri
fiori, io pensavo: “Ecco, questo fa per me!”. E pensavo la stessa
cosa di tutti. Mi capitava cioè quello che capita agli ipocondriaci quando leggono un libro di medicina. Questo forse succede
perché a tutti noi è capitato prima o poi di provare il panico, la
paura, di sentirsi ignoranti o impazienti e dubbiosi, tutte cose che
fanno parte della vita e che non avrebbero bisogno di essere curate,
a meno che non superino certi livelli.
Bach, vissuto a
cavallo dei secoli Diciannovesimo e Ventesimo, aveva capito, come
molti altri medici rimasti inascoltati, che va curato il paziente
nella sua integrità, piuttosto che la sua malattia. Curato il
paziente, in base alla visione olistica che anche Bach aveva, si cura
automaticamente anche la malattia. Egli arrivò a questa conclusione
a causa di una sua diretta esperienza con una malattia mortale. Una
forte emorragia dovuta a un cancro alla milza, portò i suoi colleghi
medici a diagnosticargli solo tre mesi di vita, che lui impiegò
dedicandosi entusiasticamente ai suoi studi di laboratorio, essendo
all'epoca un valente batteriologo. Com'era facile prevedere, Bach
superò i fatidici tre mesi, non si fece prendere dal panico e
attribuì la regressione del carcinoma all'entusiasmo e al fatto di
dedicarsi alle attività preferite.
Qualche decennio più tardi, il
tedesco Gerd Hammer avrebbe spiegato che è la paura coltivata nella
mente del soggetto a far aggravare la patologia, benché nel caso di
Bach, l'appuntamento fatale con la morte si sarebbe presentato 19
anni più tardi, nel 1936, quando lo stesso cancro si risvegliò
portandolo alla tomba. Morì nel sonno, con la soddisfazione di aver
portato a termine lo scopo per cui era venuto al mondo. La differenza
fra il medico inglese e quello tedesco è che il primo fu acclamato
come luminare della scienza, con il solo difetto che negli ultimi
anni di vita si dedicò, con rammarico di colleghi e pazienti, alla
sua antica passione: i fiori e la natura in genere, mentre il secondo
fin dall'inizio fu inviso al sistema farmaceutico che tuttora domina
le vite delle persone, forse perché nel frattempo le industrie del
farmaco si erano accorte che le medicine naturali gli portavano via
migliaia di pazienti. E questo, per chi basa la propria sopravvivenza
sul business della malattia, era inaccettabile. All'epoca di Bach, le
multinazionali del farmaco non avevano ancora quel potere che hanno
assunto nei decenni seguenti e non vedevano alcun pericolo nelle
bizzarrie di un amante della natura.
Di fatto, al giorno
d'oggi, anche i fiori di Bach non sono accettati dalla scienza medica
ufficiale, al pari dell'omeopatia, dell'agopuntura, della Nuova
Medicina Germanica, della Terapia Gerson, del metodo Simoncini e, meno che mai, della
pranoterapia. Le cause dell'insorgenza delle malattie non devono
essere rimosse, perché ciò farebbe diminuire gli introiti di
Bigpharma e forse anche collassare l'intero sistema sanitario
occidentale. Alle cure naturali, in genere più costose, si rivolge
quella nicchia di utenti danarosi che hanno adottato uno stile di
vita armonioso e in sintonia con la natura, magari diventando vegani.
Le industrie farmaceutiche per ora reggono il colpo, ma ultimamente
sferrano campagne mediatiche menzognere, sul genere della guerra
psicologica, demonizzando chi ha eliminato carne e derivati animali
dalla propria dieta. Se questo è un danno per le masse, che
continuano stolidamente a ingozzarsi di cadaveri, ci da però almeno
la soddisfazione di sapere che i potenti Untori del farmaco sentono
un po' di nervosismo. Hammer è finito in prigione, come la coppia di
genitori vegani è finita sotto inchiesta pochi giorni fa, accusata
di non nutrire a sufficienza il figlio. Edward Bach riposa in pace,
soddisfatto di aver indicato la via, impersonando il ruolo del
precursore. Il grosso del lavoro su noi stessi, in tema di
consapevolezza, deve ancora essere fatto. Eliminare carne e
derivati di origine animale sarebbe buona cosa, come lo sono le
essenze floreali di Bach. A ciascuno la sua scelta.
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