Sì, lo so. Non dovrei riempire la vostra mente di spazzatura.
Dovrei offrirvi solo notizie rincuoranti e positive, così da
facilitarvi il compito di creare una vostra realtà rincuorante e
positiva, ma mi parrebbe di venir meno al mio dovere di cronaca se
non riportassi alcuni episodi di cronaca nera che capitano quaggiù,
dove mi trovo. Mi sembrerebbe di mancare di riguardo alla Verità se
tacessi e anche di prendervi in giro, visto che siete tutti adulti e
vaccinati, nonché in grado di distinguere il bene dal male. Non è
che andrete in garage a prendere l’accetta per uccidere i vostri
genitori, vero? Se no, SDEI mi ammazza! E nemmeno credo che vi
metterete a linciare qualche albanese dopo aver sentito cosa è
successo giovedì 12 gennaio a Majunga. E dubito fortemente che vi
verrà voglia di pestare a morte un giudice dopo aver saputo cosa è
successo a Tulear nel 2012.
Sì, perché tra i due episodi di cronaca nera, che riguardano, il
primo, un gruppo di studenti universitari e, il secondo, un gruppo di
poliziotti, otto per la precisione, intercorrono cinque anni, a
riprova che il fenomeno della violenza su questo pianeta è endemico
e privo di guarigione. Ciò che vale per il Madagascar, vale per il
mondo intero, Italia compresa. Come in alto, così in basso, come nel
grande, così nel piccolo. Anche le formiche hanno la loro Tavola
Smeraldina.
Un uomo si aggirava nel quartiere universitario, recando in una
mano un mazzo di anatre legate per le zampe e, nell’altra, alcune
pentole. Gli studenti che in quel quartiere vivono, studiano e danno
gli esami, avevano lamentato già in passato furti di vario genere,
compreso il pollame che allevano tra un esame e l’altro. Un
ragazzo, vedendo passare l’intruso, gli chiede, con fare burbero:
“Dove hai preso quelle anatre e quelle pentole?”. L’uomo, ladro
poco conoscitore della psiche umana, per tutta risposta, vistosi
scoperto, scaraventa a terra anatre e pentole e si dà alla fuga.
Errore fatale! Mai scappare davanti a cani e leoni. Qualsiasi
studente di zoologia del primo anno sa che la fuga delle prede fa
scattare precisi meccanismi nei predatori e l’Homo sapiens non è
esente da questa regola. L’uomo scappa. Il ragazzo comincia a
gridare, con tutto il fiato che aveva in gola: “Pangalatra,
pangalatra”. Da ogni stanza, da ogni ricettacolo, da ogni
cespuglio, da ogni sala di studio accorrono gli studenti. E pure
qualche professore. Vedono la preda che fugge. Capiscono e non
vogliono lasciarsi perdere l’occasione di sfogare i loro istinti
belluini, quasi come se non avessero altre occasioni per farlo. La
preda viene raggiunta e, come jene con la gazzella, tormentata e
azzannata, chi nei punti vitali, chi no. Sassi, bastoni, rami e
rametti, pugni e pugnette, calci e scappellotti, la preda rotola a
terra, si copre il volto con le mani. Altre mani spostano le sue dal
volto sanguinante. Un predatore del terzo anno trova una pietra bella
pesante, visto che gli artigli, per una sua sciagurata dimenticanza,
li ha lasciati in camera. La pietra colpisce la gazzella ladra, che
sviene e poco dopo muore. La natura, avuto pietà di una sua
creatura, benché ladra, concede all’incauto l’eterno riposo,
così che non dovrà più darsi la briga di andare a rubare né
anatre, né pentole. Il giornalista della televisione nazionale, con
filiale a Majunga, si fa riprendere vicino al cadavere e alle anatre
che, insieme alle pentole, sono state testimoni di tale insensatezza.
Se un senso questo linciaggio ce l’ha, sta nel fatto che la società
avrà un ladro in meno di cui preoccuparsi, ma il paradosso è che
l’intera società malgascia è ladra, anche senza la famosa
occasione, e quindi è come se la collettività punisse se stessa, in
una specie di catarsi collettiva. Rubare è peccato, molti di quegli
studenti lo hanno fatto e lo faranno, ma la capra deve di tanto in
tanto essere portata nel deserto fuori le mura di Gerusalemme e
lapidata. Agnus dei (o agnu SDEI) qui tollit peccata mundi. Crono che
mangia i suoi figli. Qui siamo nel regno di Saturno, oltre che di
Geova degli Eserciti.
E, a proposito di eserciti, nel 2012 a un poliziotto i superiori
chiesero: “Dove hai messo il fucile?”. “L’ho perso!”, fu la
sua poco credibile risposta. Disgraziatamente per lui, poco dopo fu
catturato un “malaso” che aveva proprio quel fucile. Il
malvivente, forse con qualche aiutino doloroso, non ebbe difficoltà
a dire agli inquirenti chi gli aveva noleggiato il fucile. Entrambi
finirono davanti al giudice, il poliziotto smemorato e il bandito
armato di fucile non suo. Il giudice, con una di quelle sentenze che
ultimamente lasciano stupiti anche gli italiani, quando ci sono cause
in qualche italico tribunale, mandò in prigione il poliziotto e
liberò il bandito. Qui viene in mente Gesù e Barabba, benché
prestare fucili ai banditi non sia cosa da niente. La sentenza non
piacque ai colleghi del poliziotto ingabbiato che, in otto, decisero
di fare una spedizione punitiva. Dopo qualche tempo entrarono
nell’ufficio del giudice, che in quel momento era assente. C’era
al suo posto il sostituto (se no perché li chiamano “sostituto
procuratore?). Tanta era la rabbia accumulata dagli otto, comprese
due donne poliziotto, che cominciarono a malmenare il classico tipo
presente al momento sbagliato nel posto sbagliato. Vai a fare favori
ai colleghi! Nessuno degli otto giustizieri si accorse che non era il
bersaglio giusto? Misteri della psiche umana, sempre che di umano ci
sia qualcosa in certi frangenti.
Andarono avanti a pestarlo di santa ragione, soprattutto le due
donne. Il sostituto magistrato svenne. Fu caricato come un sacco di
riso (da noi si dice di patate, annotazione etnolinguistica) su un
pick-up e scaricato davanti al carcere, luogo dove secondo loro
meritava di stare, ma i corpi svenuti hanno il brutto vizio di non
parare i colpi delle cadute e la testa del magistrato, benché
supplente e facente funzioni, prese una botta letale e in Madagascar,
da quel giorno, ci fu un giudice in meno nell’apposito albo
professionale. Gli otto furono catturati dai loro colleghi e mandati
in carcere a Tanà. Fecero tre anni di galera, percependo nel
frattempo lo stipendio intero, visto che avevano famiglia. Dopo tre
anni per omicidio colposo, o preterintenzionale che dir si voglia,
furono reintegrati nel posto di lavoro, sebbene trasferiti lontano da
Tulear. Da noi, 15 anni non glieli toglieva nessuno, con tanto di
botte in carcere da parte dei secondini. Io ho l’interdizione dai
pubblici uffici fino al 2022, per aver cercato di liberare animali
prigionieri. Il mondo a testa in giù, direbbe Galeano.
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