venerdì 6 gennaio 2017

Segni sull’anima


Nel 1994 Christine, di etnia Tanalana, esercitava il mestiere più antico del mondo, per le strade di Antananarivo. Aveva 22 anni, ma non si sarebbe aspettata che quella volta, poco dopo la mezzanotte, due rapinatori l’avrebbero affrontata per alleggerirla di denaro, braccialetti e borsetta. Mentre uno la minacciava con un coltello, l’altro le frugava nelle tasche. Ma nemmeno quei due, abituati all’immobilità delle loro vittime paralizzate dalla paura, si sarebbero aspettati che la ragazza reagisse con calci e ceffoni, in maniera così imprevista e violenta da far cadere di mano il coltello al malvivente. Nè si sarebbero aspettati tanta agilità in una donnina così minuta, che riuscì ad impadronirsi della lama e a piantarla nel cuore di uno degli assalitori, non prima però di prendersi, nella concitata colluttazione, una profonda coltellata sulla guancia, da labbro a orecchio, che fa tuttora bella mostra di sé sul suo viso di matura 44enne.



Christine scappò, premendo una mano sulla guancia ferita, come pure il rapinatore rimasto illeso. Alla polizia arrivata sul posto non restò altro da fare che portare il cadavere all’obitorio. Quella disavventura pose fine al suo lavoro notturno, per lo meno sulla piazza di Antananarivo e nessun poliziotto venne mai a cercarla. In seguito, dopo qualche anno, Christine sposò un francese, dal momento che molti vazaha intrattengono rapporti con le makorele, convolando a nozze con molte di esse. Purtroppo, com’è nelle abitudini di molte malgasce, durante il matrimonio Christine manteneva l’amante malgascio, chiamato localmente “jombilo”. Molti mariti stranieri lo sanno e chiudono un occhio, ma in quel caso le cose andarono diversamente. Il francese tradito, una volta saputolo, chiese il divorzio e il triangolo finì male con un tocco di mistero giacché l’amante impazzì e anche adesso lo si può veder stazionare tutto il giorno sotto il grande tamarindo della piazzetta sabbiosa di Mangily, a chiedere l’elemosina che nessuno gli dà.




Il mistero consiste nel fatto che fino a questo momento ho raccolto molte storie di persone che si sposano con gli stranieri e poi impazziscono: prima o poi riuscirò a capire perché succede. Se del francese si sono perse le tracce e l’amante vive come un mentecatto sotto un albero, con il cervello fuso dalla droga, di Christine sappiamo che anche lei fa abbondante uso di “jamala”, marijuana, e anche con l’alcol ci dà dentro volentieri. Dopo la breve intervista che le ho fatto il 5 gennaio, visibilmente ubriaca, non faceva che tampinarmi, mettendosi in posa quando volevo fotografare un albero di datteri o una pecora legata sul tetto di un taxi-brousse. Si mostrava gentile con me in modo imbarazzante, porgendomi una sedia mentre aspettavo un mezzo per tornare in città e insistendo affinché mi sedessi. Un malvivente, ventidue anni fa, le fece un segno sul volto, che poi si è cicatrizzato, ma il segno sull’anima è rimasto (e potrebbe peggiorare), facendo di Christine una delle tante creature disperate in giro per il Madagascar.




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