Avevo in programma di ritornare a Saint Augustin per verificare la
possibilità di una nostra permanenza prolungata nello stesso
bungalow dov’eravamo stati l’anno scorso, ma la padrona di Casa,
Esperance, sposata a un mio conterraneo, ci ha mostrato un nuovo
appartamento per il quale chiede 400.000 ariary. Io preferivo il
bungalow perché di fronte ha il mare, anche se non si vede a causa
di una duna, mentre l’appartamento, di fronte, ha il ristorante e
un’area di passaggio dove vengono anche parcheggiati i fuoristrada
dei clienti. In entrambi i casi, manca la cucina e non c’è nemmeno
un lavandino dove lavarsi le mani. Lo stile architettonico e
logistico è quello della brousse, con la classica tazza di plastica
con cui farsi la doccia, ma io mi chiedo, visto che Esperance
disponeva del denaro per aumentare i posti letto del suo albergo,
perché non ha dotato l’appartamento del minimo richiesto dai
turisti: un lavandino? Mancanza di immaginazione, probabilmente, o di
immedesimazione.
Il marito carnico, Ernesto, evidentemente si è limitato ai
finanziamenti, senza dare suggerimenti di tipo pratico. Oltretutto,
se io e Tina vogliamo lasciare la casa di Akenta perché 400.000
ariary al mese d’affitto sono troppi, lo stesso identico prezzo ci
verrebbe richiesto a Saint Augustin, con in meno la privacy e le
comodità di una cucina funzionale. Quindi, non ci converrebbe. E’
vero che si usa la fatapera a carbone e le operazioni si fanno sempre
all’aperto, ma lo spazio che Esperance ci aveva indicato come luogo
per cucinare era davvero scarso, un corridoio tra due muri, dove ora
c’è un quad, con il rischio che il vento porti qualche scintilla
sul tetto di paglia della capanna vicina e con conseguenze
ipoteticamente disastrose. Anche in questo caso, come in quello di
Ankilibe, abbiamo dovuto rinunciare.
La nostra trasferta di una notte, quindi, al “Paradis
d’Esperance” si è limitata a una piacevole gita alla piscina
naturale del fiume Andoharano, dov’eravamo stati anche l’anno
scorso. Stavolta, per l’occasione, mi sono portato dietro anche le
pinne, oltre alla maschera. I due piroghieri, per un’ora di andata
e un’ora di ritorno, ci hanno chiesto 25.000 ariary (7 euro) e con
noi è venuto anche il nostro tassista Joselito. Prima di ritornare
ho offerto una lattina di birra a tutti, poiché avevamo con noi la
ghiacciaia da pic nic. Insomma, una vera e propria gita. Durante il
percorso, esattamente come l’anno passato, ho notato la scarsità
di avifauna, con solo gli onnipresenti Acridotheres tristis, che non
sono nemmeno originari del Madagascar ma che furono importati nel
Settecento, nonché qualche vermiglio “folimena” e una
cannaiola, riconosciuta dal canto. L’unico avvistamento degno di
nota è stato quello di un tarabusino che è planato in mezzo alla
vegetazione rivierasca.
I pescatori non sono mancati, donne e ragazze, che usano le
zanzariere regalate dalle associazioni umanitarie, nonché la
classica lenza, usata invece dagli uomini. Siccome Joselito, di
origini indiane ma adottato da una coppia malgascia, era la prima
volta che andava alla piscina naturale, ha voluto immortalare
l’evento con il suo smartphone. Forse per mostrare le foto alla
moglie.
Abituato alla caotica Tulear, anche lui deve aver trovato belli il
fiume e il paesaggio circostante. Lui e uno dei piroghieri hanno
fatto il bagno, ma hanno aspettato che io finissi. L’acqua era
fredda e trasparente e sotto c’era solo qualche pescetto, con molte
alghe filamentose. Sulle alture che circondano il fiume, tra la bassa
vegetazione sovrastata dalle badamera, dai borodomongo e da qualche
palma da datteri, si notavano in lontananza le bianche tombe di
cemento degli indigeni, sia Vezo che Mahafaly, con tanto di croci. Se
volessi, stando a ciò che Tina mi ha spiegato, potrei anche
avvicinarmi ad esse perché non c’è nessun “fady”, tabù.
L’unico rischio è che la gente potrebbe pensare che sto andando a
rubare le ossa dei morti e, nello scenario peggiore, potrei finire
linciato dalla folla inferocita. Qualcuno ha messo in giro la voce
che i mandanti dei ladri di ossa sono i vazaha. Io penso che siano i
cinesi, ma siccome anche i cinesi sono vazaha, stranieri, per i
malgasci non fa differenza se a finire linciato è un europeo o un
asiatico.
Anche di questo abbiamo parlato a cena, io, Tina e Joselito. Che
ha spiegato di essere stato adottato da una coppia di etnia Antanosy,
originaria di Bezaha. I suoi veri genitori non li ha mai conosciuti,
ma suo nonno paterno venne in Madagascar dal subcontinente indiano.
Joselito, 34 anni, due settimane fa è diventato padre per la seconda
volta. Il taxi che usa è del padre adottivo, il che pone la sua
famiglia nella fascia sociale dei benestanti. Ha una zia sposata in
Italia, ma non ha saputo dire in quale città viva. Per i suoi
servigi di 24 ore, andata e ritorno, ci ha chiesto 80.000 ariary (22
euro) e, considerato che i conducenti delle vetture a noleggio per
tradizione hanno vitto e alloggio pagati dagli alberghi, quando
accompagnano clienti, non gli è andata troppo male. Al ritorno, si è
preso anche la mancia. Gli abbiamo chiesto il numero di cellulare,
nel caso in futuro avessimo ancora bisogno di lui.
Se a Saint Augustin avessimo trovato le condizioni giuste per le
nostre esigenze, più che altro per le mie, si sarebbe posta la
questione su quale mezzo comprare per poter andare a Tulear tutte le
volte che si fosse reso necessario farlo. Tina, in modo particolare,
la sua clientela è tutta dislocata in città. E poi, come generi
alimentari, certe cose si trovano solo al supermercato, benché,
visti i prezzi più alti, si cerchi di evitarlo il più possibile. Un
motorino non sarebbe stato di suo gradimento, non solo per la
salitona impegnativa che si trova poco fuori Saint Augustin, ma
soprattutto per la sua paura dei “malaso”. Secondo Tina, possono
attaccare anche di giorno e in quei 30 Km che separano le due
località ci sono zone selvagge che si prestano alle imboscate.
La salita, che tecnicamente può essere fatta anche dai “bagage”,
cioè dalle Api Piaggio di 50 cm cubi di cilindrata, offre comunque
una bella panoramica del mare su cui si affaccia la penisola di
Sorodrano. Se – e sottolineo se – avessimo preso accordi con
Esperance ed Ernesto per un nostro trasferimento in uno dei loro
bungalow, io e Tina probabilmente avremmo finito per comprare una
moto fuoristrada abbastanza potente per affrontare la salita, un 125
o un 150, di modo che, spostandoci insieme, Tina avrebbe avuto meno
paura dei banditi. Tutto questo è sicuramente molto romantico, ma
per fortuna, siccome niente avviene per caso, anche il sito di Saint
Augustin dovrà essere accantonato, come luogo di residenza. Per ora
l’acquisto di un mezzo a motore non si pone. C’è un altro
bungalow sulla spiaggia da andare a vedere, a Itampolo, ma il viaggio
da quelle parti non è stato ancora messo in programma. Oltretutto,
il traghetto che avrebbe permesso al camion brousse di risparmiare
tre ore è guasto. Andiamo avanti giorno per giorno.
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