martedì 10 gennaio 2017

Lasciate che i pargoli vadano fuori dalle scatole


L’altra sera stavo parlando con Nanni, di Sanremo, sull’ingresso de “Le jardin”, dove Giancarlo ha messo alcune sedie e dove di solito viene anche il professor Bruno, di Vercelli, quando all’imbrunire si sono presentati quattro bambini mendicanti. Sanno che gli italiani sono generosi e anche il professore, quando arrivano, distribuisce loro pane e focacce. Subito Nanni ha interrotto la conversazione (stavamo parlando della sua cagna Lucrezia) per chiamare le cameriere affinché distribuissero del pane. I bambini, di cui uno finto invalido, hanno messo il dono nel sacchetto all’uopo predisposto e si sono posizionati nelle immediate vicinanze per aspettare il professore.




A volte, in centro città, quando vengo avvicinato dai bambini mendicanti, se ho caramelle offro quelle, se non le ho non offro nulla. Denaro, ai bambini mai, dicono i pedagogisti. Agli adulti non do’ mai nulla, tranne al paraplegico Joshef, con cui da anni ho un rapporto di simpatia. Tuttavia, la distribuzione di cibo all’infanzia abbandonata la faccio lo stesso con Odillon e suo fratello Sammy, figli di Koreti, che fino a poco tempo fa viveva nella brousse ma che si è trasferita di recente a Ilakaka a vendere carbone. Essendo un ingombro, i due bambini sono stati messi a casa della zia Sitra, che come matrigna interpreta alla perfezione lo stereotipo. Infatti Odillon, all’età di otto anni, è stato cacciato di casa, come solo in un romanzo di Edmondo De Amicis avrebbe potuto succedere. Del resto, Sitra un mese fa ha cacciato di casa anche la figlia naturale Carola, di diciotto anni.




Quando vengono da me, a trovare Annika, hanno un pasto assicurato e tutte le attenzioni possibili (maxima debetur pueri reverentia), ma succede raramente perché sanno che non sono i benvenuti. Tina non capisce perché a me non piacciano i bambini, nonostante siano dieci anni che le spiego quanto importante sia per me la privacy. A volte, per farle capire meglio il significato di riservatezza, le dico: “Non mi va di uscire dal bagno in mutande e trovarmi di fronte due bambini”. Mi pare che il concetto sia chiaro. A parte il fatto che non giro mai per casa in mutande perché con noi vive la figlia tredicenne di Tina, se non mi piacciono i bambini è forse perché li associo alle disavventure scolastiche che mi sono capitate in 23 anni d’insegnamento nelle scuole elementari. E non tanto perché con gli alunni io avessi un difficile rapporto, quanto perché a rompere le palle erano piuttosto i loro genitori, che coglievano ogni occasione per andare a protestare dal direttore didattico. Non sono i bambini malgasci a darmi fastidio, ma i bambini in generale. Proprio non m’interessano e almeno in un’occasione anche Tina ha accennato alla mia presunta incoerenza per cui io - mostro spietato - amo più le bestie che non le persone. Questa frase specista mi manda sempre fuori dai gangheri. Ma è inutile: non capiscono! Pertanto, anch’io come Gesù posso orgogliosamente dire: “Lasciate che i pargoli vadano fuori dalle scatole”.



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