L’altra sera stavo parlando con Nanni, di Sanremo, sull’ingresso
de “Le jardin”, dove Giancarlo ha messo alcune sedie e dove di
solito viene anche il professor Bruno, di Vercelli, quando
all’imbrunire si sono presentati quattro bambini mendicanti. Sanno
che gli italiani sono generosi e anche il professore, quando
arrivano, distribuisce loro pane e focacce. Subito Nanni ha
interrotto la conversazione (stavamo parlando della sua cagna
Lucrezia) per chiamare le cameriere affinché distribuissero del
pane. I bambini, di cui uno finto invalido, hanno messo il dono nel
sacchetto all’uopo predisposto e si sono posizionati nelle
immediate vicinanze per aspettare il professore.
A volte, in centro città, quando vengo avvicinato dai bambini
mendicanti, se ho caramelle offro quelle, se non le ho non offro
nulla. Denaro, ai bambini mai, dicono i pedagogisti. Agli adulti non
do’ mai nulla, tranne al paraplegico Joshef, con cui da anni ho un
rapporto di simpatia. Tuttavia, la distribuzione di cibo all’infanzia
abbandonata la faccio lo stesso con Odillon e suo fratello Sammy,
figli di Koreti, che fino a poco tempo fa viveva nella brousse ma che
si è trasferita di recente a Ilakaka a vendere carbone. Essendo un
ingombro, i due bambini sono stati messi a casa della zia Sitra, che
come matrigna interpreta alla perfezione lo stereotipo. Infatti
Odillon, all’età di otto anni, è stato cacciato di casa, come
solo in un romanzo di Edmondo De Amicis avrebbe potuto succedere. Del
resto, Sitra un mese fa ha cacciato di casa anche la figlia naturale
Carola, di diciotto anni.
Quando vengono da me, a trovare Annika, hanno un pasto assicurato
e tutte le attenzioni possibili (maxima debetur pueri reverentia), ma succede raramente perché sanno
che non sono i benvenuti. Tina non capisce perché a me non piacciano
i bambini, nonostante siano dieci anni che le spiego quanto
importante sia per me la privacy. A volte, per farle capire meglio il
significato di riservatezza, le dico: “Non mi va di uscire dal
bagno in mutande e trovarmi di fronte due bambini”. Mi pare che il
concetto sia chiaro. A parte il fatto che non giro mai per casa in
mutande perché con noi vive la figlia tredicenne di Tina, se non mi
piacciono i bambini è forse perché li associo alle disavventure
scolastiche che mi sono capitate in 23 anni d’insegnamento nelle
scuole elementari. E non tanto perché con gli alunni io avessi un
difficile rapporto, quanto perché a rompere le palle erano piuttosto
i loro genitori, che coglievano ogni occasione per andare a
protestare dal direttore didattico. Non sono i bambini malgasci a
darmi fastidio, ma i bambini in generale. Proprio non m’interessano
e almeno in un’occasione anche Tina ha accennato alla mia presunta
incoerenza per cui io - mostro spietato - amo più le bestie che non
le persone. Questa frase specista mi manda sempre fuori dai gangheri.
Ma è inutile: non capiscono! Pertanto, anch’io come Gesù posso
orgogliosamente dire: “Lasciate che i pargoli vadano fuori dalle
scatole”.
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